Per anni affrontare il tumore all’ovaio significava solamente poter disporre di chirurgia e chemioterapia. Due armi che purtroppo poco potevano fare quando la malattia si era diffusa. Oggi fortunatamente le prospettive stanno cambiando e grazie ad una particolare classe di farmaci -i PARP inibitori- il cancro dell’ovaio può essere affrontato con successo. A confermarlo è uno studio presentato al congresso dell’European Society of Medical Oncology (ESMO) svoltosi a Monaco di Baviera (Germania).
Il farmaco olaparib si è dimostrato efficace nel ridurre del 70% il rischio di progressione della malattia o morte nelle pazienti con carcinoma ovarico con mutazione nei geni BRCA. Un risultato importante che è stato pubblicato contemporaneamente alla presentazione ad ESMO sulla rivista New England Journal of Medicine.
Cancro dell’ovaio: il ruolo dei geni BRCA
Secondo gli ultimi dati AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) in Italia vengono diagnosticati ogni anno circa 5 mila tumori all’ovaio. Alla base dello sviluppo di questa forma tumorale vi sono diversi fattori. Mentre alcuni sono modificabili attraverso lo stile di vita, altri sono presenti sin dalla nascita e non si possono modificare in alcun modo. E’ questo il caso di alcune particolari mutazioni dei geni BRCA1 e BRCA2. Chi le possiede ha maggiori probabilità di sviluppare un tumore come nel caso dell’attrice Angelina Jolie.
Ciò accade perché questi geni mutati portano alla produzione di proteine che hanno una capacità di riparare i danni al Dna con un’efficienza nettamente inferiore rispetto a quelle prodotte in assenza di mutazione. Ecco perché, proprio per l’incapacità di riparare il Dna, le cellule accumulano più mutazioni che possono portare alla trasformazione tumorale. Purtroppo ad oggi il 70% delle pazienti con carcinoma ovarico in stadio avanzato va incontro a recidiva entro tre anni mentre il tasso di sopravvivenza a cinque anni è del 20%. Per il carcinoma ovarico avanzato di nuova diagnosi dunque lo scopo principale del trattamento è ritardare la progressione della malattia il più a lungo possibile. Un qualcosa di difficile poiché spesso i cicli di chemioterapia utilizzati generano una resistenza ai farmaci che rendono le terapie inefficaci sul lungo periodo.
I PARP inibitori causano la morte delle cellule tumorali
Negli anni grazie alla ricerca gli scienziati hanno scoperto che alcune proteine della famiglia PARP sono fondamentali per riparare i danni al DNA ed in particolare nelle cellule tumorali come quelle dove c’è la mutazione BRCA. Un meccanismo che quando viene inibito porta alla morte di queste cellule a causa di un sovraccarico di errori a livello del Dna. Partendo da questa osservazione, negli anni sono stati sviluppati i PARP inibitori, farmaci capaci cancellare l’effetto riparatorio delle proteine PARP. La loro azione consiste dunque nell’annullamento dei meccanismi di riparazione del DNA nelle cellule neoplastiche dell’ovaio, con la conseguente morte delle cellule malate.
Olaparib riduce il rischio di morte
Uno di questi inibitori è olaparib, un PARP inibitore in fase di sperimentazione da diversi anni. Nello studio SOLO-1 presentato ad ESMO è stato dimostrato che l’utilizzo di olaparib come terapia di mantenimento dopo l’intervento chirurgico e la chemioterapia, è in grado di garantire alle donne un aumento della sopravvivenza libera da malattia mai osservato in precedenza, ovvero almeno 3 anni in più rispetto al gruppo che ha utilizzato il placebo. Non solo, dalle analisi a 41 mesi dall’inizio della sperimentazione è emerso un vantaggio significativo nel ridurre il rischio di recidive e morte del 70%.
«Alla luce di questi importanti risultati -spiega la professoressa Nicoletta Colombo, Direttore della Divisione di Ginecologia Oncologica Medica dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano- l’esecuzione del test BRCA al momento della diagnosi assume un ruolo fondamentale. Solo in questo modo siamo in grado di indentificare tempestivamente le pazienti che possono beneficiare di un trattamento in grado di cambiare la storia della malattia».
Il futuro è nella combinazione di più farmaci?
Ma le novità non finiscono qui perché la ricerca clinica sta andando avanti per cercare ulteriori opzioni terapeutiche per migliorare quanto già di buono è stato fatto. Il prossimo passo sarà ora quello di valutare la somministrazione combinata di olaparib e bevacizumab, un farmaco che inibisce la formazione dei vasi sanguigni che il tumore utilizza per crescere. In molti Paesi infatti la terapia standard di prima linea prevede la somministrazione di quest’ultimo in aggiunta alla chemioterapia. Lo studio PAOLA-1 ora in corso valuterà l’efficacia della combinazione per rispondere alla domanda se sia preferibile la terapia di mantenimento con olaparib o con l’aggiunta di bevacizumab.
@danielebanfi83