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È in arrivo il primo trattamento chemio free in pazienti con leucemia linfatica cronica, la più diffusa forma di leucemia, spesso indolente, che colpisce soprattutto gli anziani. La molecola, inibitore orale selettivo primo nella classe della Bruton Tirosin Kinasi (BTK), è già approvata in Europa da un paio di anni.

I dati a lungo termine dello studio registrativo di fase III RESONATE-2 sono stati presentati in occasione del congresso della European Hematology Association (EHA) e dimostrano che il farmaco, Ibrutinib, a un follow-up mediano di 4 anni, riduce dell’87% il rischio di progressione della malattia o di morte.

LA LEUCEMIA LINFATICA CRONICA (LLC): DI CHE SI TRATTA

È una neoplasia ematologica dovuta a un accumulo di linfociti nel sangue, nel midollo osseo e negli organi linfatici (linfonodi e milza). L’età media alla diagnosi è di 65anni e colpisce ogni anno 3mila italiani, con un’incidenza di 5-6 pazienti ogni 10mila abitanti. Ciascun paziente viene trattato a seconda della forma di malattia, che può restare indolente anche per molti anni. In questo senso, diagnosi non significa automaticamente terapia.

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«Un 10-15% di pazienti, colpiti dalla forma più aggressiva, necessitano di un trattamento immediato; gli altri vengono monitorati – spiega Paolo Ghia, Programma Strategico di Ricerca sulla LLC, Divisione di Oncologia Sperimentale dell’Ospedale San Raffaele di Milano – La chemio immunoterapia standard a base di fludarabina, ciclofosfamide e rituximab (FCR) non viene tollerata da tutti i pazienti». In presenza di alcune condizioni, come la delezione cromosoma 17p e/o la mutazione di p53, la chemio-immunoterapia non è appropriata perché i pazienti non rispondono. Per costoro, ma sono una bassa percentuale dei pazienti, il nuovo farmaco (ad assunzione orale, giornaliera e a domicilio) è già disponibile.

IL NUOVO FARMACO E IL SUO UTILIZZO

«La buona notizia è l’estensione dell’utilizzo in prima linea; anche agli altri pazienti - che nell’80% dei casi hanno più di 75 anni (e spesso non tollerano l’immunochemioterapia) - avranno così accesso a questo trattamento innovativo» commenta Paolo Ghia «che funziona indipendentemente dalle caratteristiche genetiche e dallo stato delle immunoglobuline».

Ibrutinib sarà a breve disponibile anche in Italia come prima linea per i pazienti anziani con leucemia linfatica cronica non precedentemente trattata. Saranno comunque esclusi dal trattamento quei pazienti giovani, per i quali la terapia standard è efficace e tollerata.

«I dati presentati al congresso sono la dimostrazione dell’efficacia del farmaco e della sua tollerabilità. Si è visto un miglioramento della sopravvivenza libera da progressione e della sopravvivenza» commenta la dottoressa Alessandra Tedeschi, della divisione dei ematologia dell’ospedale Niguarda di Milano, che sottolinea come dalle risposte ai questionari somministrati ai pazienti emerga anche un miglioramento qualità di vita.

L’IMPORTANZA DEI TEST E DELLA SCELTA DEL CENTRO DOVE CURARSI

I test (cromosoma 17p, gene p53 e sequenziamento immunoglobuline) sono fondamentali, vanno eseguiti pressi centri certificati e vanno garantiti «a ciascun paziente al momento di momento di stabilire la terapia e poi, di nuovo, in caso di ritrattamento per verificare che lo stato genetico non sia nel frattempo mutato» spiega Robin Foà, dipartimento di biotecnologie cellulari ed ematologia dell’Università Sapienza di Milano.

La diagnosi va fatta bene. Non solo i test sono cruciali, perché ad esempio fare la chemio a un paziente con p53 mutato sarebbe un errore, ma rivolgersi a un centro specializzato lo è altrettanto. «È fondamentale» spiegano gli specialisti «rivolgersi fin da subito a chi possiede le competenze per trattare queste malattie. Vediamo molti pazienti che arrivano da noi in seconda battuta. Ma le conseguenze di un errore diagnostico o terapeutico iniziale ricadono sulla storia clinica del paziente».

LA SVOLTA: DALLE TERAPIE CONTENITIVE A QUELLE CURATIVE

Grazie alle combinazioni di nuovi farmaci, «oltre a tenere sotto controllo la malattia, contenendola per periodi sempre più lunghi, ben presto potremmo arrivare a eradicarla e a non rilevare più alcuna traccia di malattia minima residua. Una rivoluzione un tempo impensabile, che è la sfida di oggi, perché nonostante gli enormi avanzamenti degli ultimi 20 anni i pazienti in trattamento sono costretti ad assumere un farmaco per un tempo potenzialmente illimitato».

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