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Come avrà reagito la mente del campione di sci Dominik Paris, in seguito alla rottura del legamento crociato anteriore destro il 21 gennaio di quest’anno in un allenamento prima del SuperG?

Che cosa avrà pensato il centrocampista della Roma Nicolò Zaniolo quando si è lesionato lo stesso legamento nel match di Serie A contro la Juve?

Infortuni che condizionano la salute, ma anche le abitudini e infine la carriera o comunque il percorso agonistico degli atleti. Paris è stato costretto a dire addio alla Coppa del Mondo da gran favorito che era. Zaniolo è in forse per la partecipazione ai prossimi Europei, nonostante le rassicurazioni del c.t. della Nazionale Roberto Mancini.

Insomma, subire qualche danno fisico, quando sei uno sportivo affermato e magari ti trovi nel momento migliore della carriera, mette a dura prova anche la tenuta mentale e psicologica. L’impatto sul morale dell’atleta è forte e l’atteggiamento psichico, se non positivo e propositivo, potrebbe trasformarsi facilmente in un grave limite ad una ottimale ripresa per tornare in campo. Più il morale è a terra e più il percorso per rimettersi in piedi risulterà arduo e faticoso. Una disposizione positiva ed energica può fare la differenza per porsi nuovi traguardi e migliorare la forma fisica. Ecco perché, a supporto degli sportivi impegnati nell’agonismo, ci sono specialisti chiamati ad accompagnare gli atleti nella loro «guarigione» dal punto di vista mentale dopo un qualsiasi stop forzato all’attività svolta.

Il dottor Giuseppe Vercelli è lo psicologo sportivo ufficiale della Juventus e del Coni, con alle spalle sette Olimpiadi (l’ultima quella di Pyeongchang 2018). Professore di psicologia presso la Scuola universitaria interfacoltà in Scienze motorie dell’Università di Torino, direttore del Centro di Psicologia dello sport dell’ISEF di Torino, ha seguito e segue tuttora diversi sportivi nel mondo di calcio, sci, della canoa, tiro a segno e con l’arco, pallavolo, beach volley, indoor femminile e maschile. Non è escluso il mondo dei motori. Sono suoi pazienti alcuni piloti della Superbike e della 24 Ore di Le Mans. Chi meglio di lui, dunque, può spiegare nel dettaglio in che cosa consiste il percorso riabilitativo dal punto di vista psicologico, degli sportivi costretti a rimettersi in sesto dopo un infortunio serio e invalidante?

Le tre fasi
Per Vercelli ci sono tre fasi: quella di analisi, di intervento e di miglioramento continuo. Nella prima è fondamentale avere una scheda anagrafica dell’atleta «per vedere la sua storia pregressa e i suoi tratti personali. Una sorta di fotografia generale del paziente per iniziare a lavorare», dice lo psicologo.

Poi, nella seconda, entrano in gioco due momenti fondamentali: la prevenzione e la riabilitazione. «Una fase di ottimizzazione per supportare l’individuo a questa nuova sfida e tenerlo allenato mentalmente», prosegue. Prima dell’ultima fase, quella del miglioramento continuo, quando lo sportivo è pronto per tornare in campo «e si lavora sul volume, sull'intensità e sulla frequenza dell'esercizio fisico per rafforzare la sua capacità di recupero detta recovery».

Importante, per tornare all’attività al meglio, «è che l’atleta sia forte e ottimista nel suo atteggiamento mentale, per cercare di bruciare le tappe e fare un millimetro in più sulla tabella di marcia», dice Vercelli. Fondamentale è anche il supporto sociale di squadra o team per far sentire l’individuo ancora importante dopo l’infortunio, specie nella fase di ottimizzazione: «Prendiamo un calciatore - dice lo psicologo -. Quando si infortuna, il supporto sociale e l’autostima sono fondamentali nel processo di guarigione e proprio per questo lo si fa allenare vicino ai compagni, nello stesso campo o in quello accanto, per farlo sentire parte della squadra».

Esistono delle tecniche - spiega ancora lo specialista - in cui viene utilizzata l’immaginazione (“imagery”) per far giocare i match allo sportivo anche sul divano di casa».

Quanto è importante la prevenzione
Un indicatore di propensione all’infortunio è la fatica mentale. Se l’atleta è stanco a livello di testa prima di un allenamento, le difese e l’attenzione sono ridotte al minimo e così il corpo è più a rischio (questa fase è detta di complacency, ovvero di sottovalutazione del rischio). Lo stress dunque è responsabile nel diminuire la performance sia cognitiva che fisica.

«Per cercare di capire quanto lo sportivo sia affaticato da 1 a 10 usiamo la Scala di Borg - precisa Vercelli -. Se un allenamento porta all’atleta uno stress di livello 3 e lui dice di essere a livello 6 qualcosa non va. Proprio per questo un buono staff medico ferma l’atleta prima che sia troppo tardi, aiutandolo a rilassarsi prima di un nuovo impegno».

«Un esempio - dice lo psicologo - lo abbiamo nel campione del mondo nel supergigante di sci 2011 Christof Innerhofer. A marzo 2019 la rottura del legamento crociato sinistro nei Campionati Assoluti di sci e, a 34 anni, una carriera che rischiava di finire. Invece la tempra dello sportivo lo ha riportato presto in pista con l’obiettivo di puntare alle Olimpiadi casalinghe di Milano-Cortina 2026.

«Qualche anno fa Christof rientrava da un infortunio - spiega Vercelli -. Io l’ho incontrato prima di una delle discese che si disputavano a Wengen quando aveva completamente recuperato. Era preoccupato di poter ricadere in questo infortunio. In realtà, dopo aver lavorato con lui con tecniche di “decondizionamento”, ha partecipato alla gara ottenendo un ottimo terzo posto».

Un altro esempio riguarda un atleta di canoa della nazionale, di cui Vercelli preferisce non fare il nome: «Aveva trasformato nella sua testa una sensazione di fastidio a un braccio in un dolore fisico. In realtà si trattava di una trasformazione mentale dovuta alla paura, perché l’individuo era guarito totalmente».

La fase della «promotion»

«Una volta recuperato dall’infortunio – chiarisce lo specialista - nella fase del miglioramento continuo, è importante, oltre ai carichi di lavoro fisici, il già citato “decondizionamento”. Bisogna “spazzolare” via tutte le scorie mentali, quella paura di farsi male di nuovo». Se questa fase non è ben gestita, il rischio è di incentivare i timori e le eccessive precauzioni. «L’atleta potrebbe cadere in una condizione di “prevention”, cioè di atteggiamento difensivo e di mantenimento. Si tornerebbe all’attività con il freno a mano tirato per paura di farsi ancora male».

L’obiettivo che il dottore ha in questa fase, dunque, è quello di accompagnare lo sportivo nella fase della «promotion», «dove l’ansia, lo stress e i timori vengono trasformati completamente e il semaforo delle proprie emozioni torna a essere verde». «Se si è ancora condizionati dall’infortunio allora è meglio aspettare a far tornare l’individuo in attività e attendere un momento più consono. Nessuna squadra vorrebbe perdere nuovamente un proprio iscritto, anche solo per motivi di budget».

Gli atleti che hanno superato la fase «promotion»

Diversi sono gli atleti che riescono ad andare subito nella fase di «promotion» trovando risorse dentro di sé. Vercelli fa qualche nome: «Giorgio Chiellini è straordinario - commenta -. Dopo la rottura del legamento crociato del ginocchio destro prima di Juve-Napoli di Serie A lo scorso agosto, era già pronto a caricare i compagni fuori dal campo andando anche in panchina allo Stadium».

Stessa cosa per Jury Chechi, che dopo la lesione al tendine brachiale del bicipite sinistro nel 2000 (e il momentaneo ritiro) conquistò un bronzo alle Olimpiadi di Atene quattro anni dopo.

O Dominik Paris, «che ha saputo andare oltre alla morte di suo fratello Renè in un incidente stradale nel 2013». E ancora, sempre nello sci «Sofia Goggia, emblema della regolazione dell’energia fisica e mentale. Josefa Idem (ex canoista italiana), invece, non si è mai infortunata in carriera perché ha lavorato molto bene nella fase di prevenzione».

Come avrà reagito la mente del campione di sci Dominik Paris, in seguito alla rottura del legamento crociato anteriore destro il 21 gennaio di quest’anno in un allenamento prima del SuperG?

Che cosa avrà pensato il centrocampista della Roma Nicolò Zaniolo quando si è lesionato lo stesso legamento nel match di Serie A contro la Juve?

Infortuni che condizionano la salute, ma anche le abitudini e infine la carriera o comunque il percorso agonistico degli atleti. Paris è stato costretto a dire addio alla Coppa del Mondo da gran favorito che era. Zaniolo è in forse per la partecipazione ai prossimi Europei, nonostante le rassicurazioni del c.t. della Nazionale Roberto Mancini.

Insomma, subire qualche danno fisico, quando sei uno sportivo affermato e magari ti trovi nel momento migliore della carriera, mette a dura prova anche la tenuta mentale e psicologica. L’impatto sul morale dell’atleta è forte e l’atteggiamento psichico, se non positivo e propositivo, potrebbe trasformarsi facilmente in un grave limite ad una ottimale ripresa per tornare in campo. Più il morale è a terra e più il percorso per rimettersi in piedi risulterà arduo e faticoso. Una disposizione positiva ed energica può fare la differenza per porsi nuovi traguardi e migliorare la forma fisica. Ecco perché, a supporto degli sportivi impegnati nell’agonismo, ci sono specialisti chiamati ad accompagnare gli atleti nella loro «guarigione» dal punto di vista mentale dopo un qualsiasi stop forzato all’attività svolta.

Il dottor Giuseppe Vercelli è lo psicologo sportivo ufficiale della Juventus e del Coni, con alle spalle sette Olimpiadi (l’ultima quella di Pyeongchang 2018). Professore di psicologia presso la Scuola universitaria interfacoltà in Scienze motorie dell’Università di Torino, direttore del Centro di Psicologia dello sport dell’ISEF di Torino, ha seguito e segue tuttora diversi sportivi nel mondo di calcio, sci, della canoa, tiro a segno e con l’arco, pallavolo, beach volley, indoor femminile e maschile. Non è escluso il mondo dei motori. Sono suoi pazienti alcuni piloti della Superbike e della 24 Ore di Le Mans. Chi meglio di lui, dunque, può spiegare nel dettaglio in che cosa consiste il percorso riabilitativo dal punto di vista psicologico, degli sportivi costretti a rimettersi in sesto dopo un infortunio serio e invalidante?

Le tre fasi
Per Vercelli ci sono tre fasi: quella di analisi, di intervento e di miglioramento continuo. Nella prima è fondamentale avere una scheda anagrafica dell’atleta «per vedere la sua storia pregressa e i suoi tratti personali. Una sorta di fotografia generale del paziente per iniziare a lavorare», dice lo psicologo.

Poi, nella seconda, entrano in gioco due momenti fondamentali: la prevenzione e la riabilitazione. «Una fase di ottimizzazione per supportare l’individuo a questa nuova sfida e tenerlo allenato mentalmente», prosegue. Prima dell’ultima fase, quella del miglioramento continuo, quando lo sportivo è pronto per tornare in campo «e si lavora sul volume, sull'intensità e sulla frequenza dell'esercizio fisico per rafforzare la sua capacità di recupero detta recovery».

Importante, per tornare all’attività al meglio, «è che l’atleta sia forte e ottimista nel suo atteggiamento mentale, per cercare di bruciare le tappe e fare un millimetro in più sulla tabella di marcia», dice Vercelli. Fondamentale è anche il supporto sociale di squadra o team per far sentire l’individuo ancora importante dopo l’infortunio, specie nella fase di ottimizzazione: «Prendiamo un calciatore - dice lo psicologo -. Quando si infortuna, il supporto sociale e l’autostima sono fondamentali nel processo di guarigione e proprio per questo lo si fa allenare vicino ai compagni, nello stesso campo o in quello accanto, per farlo sentire parte della squadra».

Esistono delle tecniche - spiega ancora lo specialista - in cui viene utilizzata l’immaginazione (“imagery”) per far giocare i match allo sportivo anche sul divano di casa».

Quanto è importante la prevenzione
Un indicatore di propensione all’infortunio è la fatica mentale. Se l’atleta è stanco a livello di testa prima di un allenamento, le difese e l’attenzione sono ridotte al minimo e così il corpo è più a rischio (questa fase è detta di complacency, ovvero di sottovalutazione del rischio). Lo stress dunque è responsabile nel diminuire la performance sia cognitiva che fisica.

«Per cercare di capire quanto lo sportivo sia affaticato da 1 a 10 usiamo la Scala di Borg - precisa Vercelli -. Se un allenamento porta all’atleta uno stress di livello 3 e lui dice di essere a livello 6 qualcosa non va. Proprio per questo un buono staff medico ferma l’atleta prima che sia troppo tardi, aiutandolo a rilassarsi prima di un nuovo impegno».

«Un esempio - dice lo psicologo - lo abbiamo nel campione del mondo nel supergigante di sci 2011 Christof Innerhofer. A marzo 2019 la rottura del legamento crociato sinistro nei Campionati Assoluti di sci e, a 34 anni, una carriera che rischiava di finire. Invece la tempra dello sportivo lo ha riportato presto in pista con l’obiettivo di puntare alle Olimpiadi casalinghe di Milano-Cortina 2026.

«Qualche anno fa Christof rientrava da un infortunio - spiega Vercelli -. Io l’ho incontrato prima di una delle discese che si disputavano a Wengen quando aveva completamente recuperato. Era preoccupato di poter ricadere in questo infortunio. In realtà, dopo aver lavorato con lui con tecniche di “decondizionamento”, ha partecipato alla gara ottenendo un ottimo terzo posto».

Un altro esempio riguarda un atleta di canoa della nazionale, di cui Vercelli preferisce non fare il nome: «Aveva trasformato nella sua testa una sensazione di fastidio a un braccio in un dolore fisico. In realtà si trattava di una trasformazione mentale dovuta alla paura, perché l’individuo era guarito totalmente».

La fase della «promotion»

«Una volta recuperato dall’infortunio – chiarisce lo specialista - nella fase del miglioramento continuo, è importante, oltre ai carichi di lavoro fisici, il già citato “decondizionamento”. Bisogna “spazzolare” via tutte le scorie mentali, quella paura di farsi male di nuovo». Se questa fase non è ben gestita, il rischio è di incentivare i timori e le eccessive precauzioni. «L’atleta potrebbe cadere in una condizione di “prevention”, cioè di atteggiamento difensivo e di mantenimento. Si tornerebbe all’attività con il freno a mano tirato per paura di farsi ancora male».

L’obiettivo che il dottore ha in questa fase, dunque, è quello di accompagnare lo sportivo nella fase della «promotion», «dove l’ansia, lo stress e i timori vengono trasformati completamente e il semaforo delle proprie emozioni torna a essere verde». «Se si è ancora condizionati dall’infortunio allora è meglio aspettare a far tornare l’individuo in attività e attendere un momento più consono. Nessuna squadra vorrebbe perdere nuovamente un proprio iscritto, anche solo per motivi di budget».

Gli atleti che hanno superato la fase «promotion»

Diversi sono gli atleti che riescono ad andare subito nella fase di «promotion» trovando risorse dentro di sé. Vercelli fa qualche nome: «Giorgio Chiellini è straordinario - commenta -. Dopo la rottura del legamento crociato del ginocchio destro prima di Juve-Napoli di Serie A lo scorso agosto, era già pronto a caricare i compagni fuori dal campo andando anche in panchina allo Stadium».

Stessa cosa per Jury Chechi, che dopo la lesione al tendine brachiale del bicipite sinistro nel 2000 (e il momentaneo ritiro) conquistò un bronzo alle Olimpiadi di Atene quattro anni dopo.

O Dominik Paris, «che ha saputo andare oltre alla morte di suo fratello Renè in un incidente stradale nel 2013». E ancora, sempre nello sci «Sofia Goggia, emblema della regolazione dell’energia fisica e mentale. Josefa Idem (ex canoista italiana), invece, non si è mai infortunata in carriera perché ha lavorato molto bene nella fase di prevenzione».