Negli Anni 90 sull’epidemia di Aids in Africa si facevano queste previsioni: la malattia si diffonderà così tanto da compromettere la demografia del Continente nero, bloccare la crescita della popolazione e addirittura provocarne il declino. Una generazione dopo, possiamo constatare che ci sono stati - ed è una tragedia immane - molti milioni di morti in Africa per l’Aids, ma la popolazione di quel continente, nel frattempo, non solo non è diminuita, nonostante l’Aids, ma è addirittura raddoppiata in 30 anni (e si avvia a raddoppiare di nuovo nei prossimi 30). Le previsioni sono state totalmente smentite: tante vittime dell’Aids sì, l’Apocalisse no.

I numeri dell’Oms e di Avert

Se guardate i grafici dell’Organizzazione mondiale della sanità, oppure quelli di un recentissimo rapporto dell’associazione britannica Avert, potete verificare che la curva della mortalità in Africa (tragicamente) si impenna (come previsto) durante gli Anni 90, e allo stesso tempo quella dell’aspettativa di vita tracolla, secondo le attese; però attorno al 2000 c’è una improvvisa, drastica inversione di tendenza in entrambe queste curve, e l’Aids, pur continuando a colpire drammaticamente molti destini individuali, smette di determinare la demografia in Africa. Per dirla in breve, centinaia di milioni di persone sono state salvate da morte prematura.

Una spiegazione facile ma inadeguata

Come mai? Una risposta facile, ma inadeguata, è che sono intervenuti i famosi farmaci retrovirali a limitare i morti, e si è diffuso pure il sesso (più o meno) sicuro con i preservativi. Però questo non spiega granché. If fatto è che in Africa non c’è praticamente nessuno che sia in grado di pagarsi i retrovirali, e persino l’acquisto di preservativi è al di là delle possibilità economiche della quasi totalità della popolazione. I conti non tornano. Da quale cielo è piovuta la salvezza? Come si spiega che l’Aids in Africa sia stato arginato, evitando centinaia di milioni di decessi?

Un mondo più solidale di quanto immaginassimo

Esistiamo a formulare l’ipotesi, ma forse la verità è che viviamo in un mondo molto meno cattivo, molto meno egoista, e molto più solidale di quanto immaginassimo: forse il nostro è un mondo in cui i Paesi ricchi (per altruismo, o per senso di colpa, o chissà che altro) si sono fatti carico del problema dell’Aids in Africa, e hanno regalato al Continente nero, e stanno continuando a regalare, in misura massiccia, e sistematica, e protratta negli anni e nei decenni, tutto quello che è necessario a combattere l’Aids. È questa la risposta giusta, o è troppo idilliaca per essere vera? È in atto la più colossale operazione di solidarietà nella storia dell’umanità, e il mondo se ne accorge a malapena?

Farmaci e strumenti di diagnosi

Il professor Giuseppe Ippolito, uno dei massimi esperti di Aids, direttore scientifico dell’Istituto nazionale per le malattie infettive Lazzaro Spallanzani, pur smorzando l’enfasi della domanda ne conferma la sostanza: «Sì, l’Occidente ha investito in maniera massiccia nella cura nell’Aids in Africa. Ha fornito e sta fornendo i farmaci, e gli strumenti diagnostici, e i metodi di profilassi. Lo fanno i governi occidentali, e in misura minore le associazioni private». Incalziamo: di preciso, che risultati ottiene l’arginamento dell’Aids in Africa? La gente continua a contagiarsi come prima con il virus Hiv, però muore di meno grazie ai retrovirali, o invece diminuiscono anche i contagi? Ippolito spiega che è vera la seconda ipotesi: «Uomini e donne vengono colpiti con meno frequenza dall’Hiv, e così si riduce il rischio che a loro volta contagino altri». Questo non vuol dire che ogni problema sia risolto: «In Africa bisogna continuare a combattere le cause della diffusione del virus - dice il prof. Ippolito - che sono i rapporti sessuali non protetti e le siringhe di droga infette».

Sanità, ma anche istruzione e diritti delle donne

Qui si apre una prospettiva interessante. L’aiuto dell’Europa e dell’America all’Africa in materia di Aids non si è limitato e non si limita alla fornitura di soldi e di strumenti medici. Secondo quanto si legge nei rapporti delle organizzazioni internazionali, i Paesi africani, un po’ su iniziativa propria e un po’ con l’incoraggiamento e il sostegno dell’Occidente, per combattere l’epidemia hanno avviato iniziative di progresso generale in campo sanitario, promuovendo anche l’istruzione e i diritti delle donne. E in questo approccio complessivo ha trovato un suo senso persino l’appello alla castità, caro alle associazioni religiose ma avversato da quasi ogni altro operatore: in Africa l’età del primo rapporto tende a essere bassissima, presso alcuni settori della popolazione è attorno ai 12 anni, e correre dietro alle bambine per convincerle a usare i preservativi potrebbe non essere la cosa più logica e giusta da fare; forse persuaderle a rinviare l’appuntamento con il sesso non è una cattiva idea.

Articolo corretto il 11/06/2018 alle ore 11:00

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