Uno degli ostacoli alla cura dell’Alzheimer - di cui in Italia soffrono seicentomila persone - è rappresentato dall’assenza di sintomi inequivocabili nelle prime fasi della malattia. Quando si arriva ai «buchi» di memoria, solitamente la demenza è già conclamata. A quel punto, c’è poco da fare per ostacolarne la progressione. Ma quello che oggi si sa è che, prima di manifestarsi in modo evidente, l’Alzheimer attraversa una fase che può durare diversi anni, forse anche decenni, durante la quale, nonostante i sintomi siano minimi, la malattia determina i danni cerebrali decisivi che condurranno all’insorgere di quell’insieme di disturbi che va sotto il nome di demenza. Sono diversi i segnali da cogliere che, se messi assieme, devono quanto meno indurre ad approfondire gli accertamenti. Uno di questi è dato dall’alterazione del linguaggio che, in una persona adulta o anziana che non ne ha mai sofferto prima, potrebbe far sospettare una diagnosi di Alzheimer.

A caccia dell’Alzheimer attraverso il linguaggio: l’esperimento con 96 persone

A confermare l’ipotesi è l’esito di una ricerca realizzata da un gruppo di scienziati dell’Università di Bologna e dell’Arcispedale Santa Maria Nuova di Reggio Emilia, pubblicata sulla rivista «Frontiers in Aging Neuroscience». I ricercatori hanno lavorato con 96 persone, una parte delle quali presentava (già all’inizio dello studio) alcuni segni di deterioramento cognitivo lieve: una condizione che può precedere l’insorgere del morbo di Alzheimer.

Durante l’esperimento, a ogni partecipante è stato chiesto di descrivere a parole prima i dettagli di un’immagine, poi una loro tipica giornata di lavoro e infine l’ultimo sogno che ricordavano. Una volta raccolte le risposte, sono state analizzate utilizzando specifiche tecniche di elaborazione del linguaggio naturale: capaci di esaminare il ritmo e il suono delle parole, l’uso del lessico e della sintassi e altri dettagli delle produzioni linguistiche.

Confrontando le risposte dei soggetti affetti da deterioramento cognitivo lieve con quelle dei soggetti privi di disturbi, la sfida dei ricercatori era riuscire a trovare segnali della presenza di deterioramento cognitivo che i test neuropsicologici convenzionali non sono in grado di identificare. Il confronto, al termine dell’analisi, ha restituito i risultati sperati.

Ecco quali sono i segnali che devono metterci in allarme

Già, ma quali sono allora i difetti di fronte ai quali potrebbe essere opportuno approfondire le indagini? I ricercatori, rifacendosi anche alle conclusioni di altre pubblicazioni, li hanno descritti nella discussione del lavoro: l’allungamento delle pause, la ridotta frequenza con cui si emettono le parole e uno stile discorsivo poco fluente sembrano essere indicatori sensibili rilevabili già in una condizione di declino cognitivo lieve (una di queste persone su cinque è destinata a sviluppare una demenza).

Attenzione dunque se un interlocutore abituato a dibattere senza problemi inizia a mostrare esitazioni più lunghe, abbisogna di pause più lunghe e si esprime con un basso timbro di voce. L’impoverimento del linguaggio, il deficit acustico, la mancanza di informazioni e un elevato tasso di errori sintattici e grammaticali sono altre «spie» da non trascurare. Riuscire a individuare questi piccoli segnali nascosti nel linguaggio parlato potrebbe diventare fondamentale anche per affrontare in modo efficace altre malattie o condizioni, spesso curabili.

«Oltre che per la diagnosi precoce della demenza - precisa Enrico Ghidoni, responsabile del centro di disturbi neurocognitivi dell’Arcispedale Santa Maria Nuova di Reggio Emilia - un’indagine di questo tipo può aiutare a riconoscere i sintomi cognitivi dovuti ad alcune malattie croniche o a trattamenti farmacologici inappropriati, spesso reversibili».

Gli altri possibili campanelli d’allarme

L’Alzheimer provoca un lento declino delle capacità cognitive. Non esiste al momento la possibilità di predire lo sviluppo o meno della malattia, anche se ci sono vari test cognitivi che vanno a indagare le aree deficitarie. Gli esperti indicano almeno dieci possibili campanelli d’allarme: la comparsa di amnesie (il soggetto comincia ad avere difficoltà nel ricordare ciò che è accaduto di recente), l’impossibilità nel portare a termine compiti semplici (tutte quelle attività che prima si facevano con facilità ora diventano più complicate), i disturbi del linguaggio, la difficoltà di ragionamento, il disorientamento nel tempo e nello spazio (diventa difficile rispondere a domande riguardanti il giorno della settimana o il luogo in cui si è o si è stati), l’irritabilità e il delirio, l’ansia e la depressione, l’apatia e l’abulia.

Twitter @fabioditodaro

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