I pazienti oncologici di età compresa tra i 15 e i 39 anni hanno bisogni specifici, tipici di un’età a cavallo tra la pediatria e l’età adulta. Sono molti gli ostacoli che gli adolescenti e i giovani adulti devono affrontare dopo una diagnosi di cancro.

Proprio per questa popolazione di pazienti particolarmente vulnerabile è nato un progetto dal titolo «AYA» (acronimo dell’inglese adolescents and young adults), presentato all’Istituto Humanitas di Milano.

«UNA TERRA DI NESSUNO»

«AYA è un acronimo riconosciuto a livello internazionale dalla comunità medico scientifica che sempre di più si sta occupando di questi pazienti» spiega la dottoressa Alex Bertuzzi, oncologa, ideatrice e responsabile del progetto, nato con il duplice obiettivo di «affrontare il gap clinico, biologico e anche quello psicosociale». Infatti, come ha di recente riportato il network europeo Eurocare, in questa fascia d’età non si sono avuti i miglioramenti nella diagnosi e nella sopravvivenza registrati invece nei bambini e negli adulti.

«Le cause sono legate alla malattia, in genere rara, con un andamento diverso e una diversa risposta al trattamento rispetto agli adulti; legate al paziente, per il ritardo diagnostico dovuto all’età che regala un senso di invincibilità e non fa pensare al cancro e per la scarsa aderenza; e, infine, legate al sistema sanitario, perché pochi sono i centri per le patologie».

15 MILA NUOVI CASI L’ANNO

Le patologie onco-ematologiche maligne (fra cui linfomi, leucemie, sarcomi, tumori germinali, tumori cerebrali) nella fascia d’età fra i 16 e i 39 anni rappresentano la causa più comune di morte nelle società industrializzate, dopo omicidi, suicidi e incidenti non intenzionali. Negli Stati Uniti si registrano 72.000 nuovi casi all’anno, in Canada 2500, in Europa 66.000, di cui 15.000 solo in Italia.

UN FUTURO DOPO IL TUMORE

La popolazione dei pazienti oncologici giovani ha bisogno di particolari accortezze per evitare lo sviluppo di disturbi futuri, che possono presentarsi anche una volta superato il cancro.

«Il follow up è necessario; esiste infatti un forte rischio di sviluppare problematiche croniche, della crescita e dello sviluppo, disfunzioni d’organo, infertilità e anche secondi tumori» spiega la dottoressa Bertuzzi.

«Ma, più nell’immediato, ci sono anche problematiche psicosociali relative al ritorno alla propria vita: si pensi all’entrata nel mondo del lavoro, alle interazioni sociali e all’influenza che la malattia ha esercitato sull’immagine di sé, del proprio corpo e della propria identità».

RISPETTARE I BISOGNI DI TUTTI

In Italia, esistono altri due progetti per gli adolescenti (al Cro di Aviano e all’Istituto Tumori di Milano), ma entrambi nascono all’interno di una pediatria. «Una struttura civile dovrebbe rispondere ai bisogni di tutti i pazienti - ha commentato il professor Armando Santoro, responsabile del Cancer Center di Humanitas - Considerare tutte le fasce d’età e le esigenze di ciascuna. Fino anche al decidere di mettere in una stanza pazienti di età simile: un’accortezza utile per i giovani ma anche per i più in là con gli anni».

NON SENTIRSI SOLI

«Quando ci si ferisce, le piastrine si uniscono, fanno squadra. Fanno una rete e creano una parete forte e resistente. Analogamente, quando si affronta un tumore, non è solo il corpo a ferirsi. C’è un grande bisogno di “piastrine umane”. Il progetto AYA è una sostanziosa trasfusione di “piastrine umane”».

Stefania Spadoni e Maki Galimberti

Parola di Stefania, una giovanissima paziente in cura al Cancer Center dell’Istituto Humanitas di Milano. «Con la malattia, ci si sente soli anche nei corridoi pieni di gente. È cruciale creare relazioni umane e sostenibili. Ora abbiamo una chat, non siamo mai soli. Perché a 28 anni si progetta il futuro: viaggi, affetti, possibilità. Con un tumore, il futuro viene messo in discussione, i viaggi rallentano, il lavoro passa in secondo piano».

AYA: AMBULATORIO DEDICATO E UN PERCORSO CLINICO-ASSISTENZIALE

Il progetto AYA prevede un ambulatorio dedicato con un team di clinici che, tramite un percorso facilitato, accoglie il giovane e si concentra su tutti gli aspetti che vanno dal consulto genetico, alla ginecologia dedicata alla preservazione fertilità, alla cardiologia, all’endocrinologia, alla fisioterapia, alla psicologia e allo stile di vita. «Dal punto di vista della ricerca, questo ci consentirà di analizzare in modo prospettico i dati raccolti» spiega la Bertuzzi.

Per quanto riguarda la parte relazionale, è stata allestita una sala delle attività dove i pazienti possono accedere per leggere, chiacchierare e frequentare le varie attività già in programma.

Al via giovedì un laboratorio di fotografia con Maki Galimberti, fra i fotografi più quotati dell’editoria italiana; ma in programma anche un laboratorio di cucina-sana a cura dello chef-divulgatore scientifico della Fondazione Umberto Veronesi Marco Bianchi, un laboratorio di scrittura creativa a cura delle professoresse Sofia Mede Repaci e Viviana Ponti e un laboratorio di teatro con Annig Raimondi, fondatrice della compagnia teatrale PACTA.

«La cosa fondamentale è vivere il percorso della malattia come un passaggio verso il futuro – dice Francesco, un giovane paziente oncologico partecipante ad AYA - Per andare avanti e trovare la forza, meglio non pensare. A volte, è impossibile riuscirci. Come quando il luogo in cui sono me lo ricorda continuamente. Nella sfortuna ho avuto la fortuna di capitare qui».

@nicla_panciera


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