Sperimentata con successo -per la prima volta in Europa- una nuova tecnica in grado di «bruciare» le cellule tumorali a livello cerebrale sfruttando un fascio di luce.
La termoterapia interstiziale laser, questo il nome dell’innovativa procedura, è stata utilizzata all’Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano per trattare due pazienti con particolari metastasi al cervello. Risultato? Minori complicanze, ridotto numero di giorni in ospedale e una migliore possibilità di intervento rispetto alla chirurgia tradizionale.
PER TRATTARE TUMORI CEREBRALI, PRIMARI E METASTATICI
Da diverso tempo una delle strategie chirurgiche per eliminare le tracce di alcuni tumori prevede l’utilizzo di fasci di onde per «bruciare» le cellule cancerose. Una di queste è la termoterapia interstiziale laser, una tecnica che permette di trattare tumori cerebrali, primari e metastatici, non facilmente raggiungibili con la chirurgia convenzionale, di piccole e medie dimensioni. In particolare si tratta di una sonda di fibra ottica, posizionata in maniera estremamente precisa nell’area del cervello da trattare, capace di erogare energia sotto forma di fascio di luce. Quando il laser viene attivato la temperatura dell’area interessata aumenta in modo da bruciare il solo tessuto tumorale.
IL SUCCESSO SU DUE PAZIENTI
A beneficiare del nuovo trattamento -prima volta in Europa- sono stati due pazienti di Milano. Una donna, affetta da tumore al seno con metastasi cerebrali e un uomo con tumore al rene con metastasi al cervello che gli impedivano di muovere regolarmente un arto superiore.
«Prima di effettuare il trattamento - spiega la dottoressa Cecilia Casali, membro dell’equipe medica dell’U.O. di Neurochirurgia- attuiamo un’attenta valutazione del paziente, grazie a un team multidisciplinare che coinvolge neurochirurghi, neurologi, neuro-oncologi e neuroradiologi, sentendo anche il parere di alcuni neurochirurghi statunitensi, esperti di questa metodica. Effettuiamo, inoltre, un accurato imaging pre-operatorio avvalendoci dell’aiuto dei fisici sanitari. L’utilizzo della risonanza magnetica nel corso della procedura di ablazione ci consente di monitorare con precisione il trattamento, ottenendo un’ablazione precisa nell’area di interesse e riducendo al minimo il rischio di danni potenziali al tessuto sano circostante. L’applicatore laser viene poi rimosso e la piccola incisione viene chiusa con una sutura veramente minimale».
MINORE IMPATTO SUL PAZIENTE E MIGLIORE QUALITÀ DI VITA
I vantaggi di questo nuovo metodo sono diversi, primo fra tutti il minor impatto per il paziente: la nuova procedura infatti richiede un’incisione di soli 2 millimetri sul cuoio capelluto, prevede un unico punto di sutura e pochi minuti per la sua attuazione e riduce sensibilmente i giorni di degenza (dai 4-5 previsti dalla neurochirurgia tradizionale ad 1), l’utilizzo prolungato della terapia cortisonica, l’insorgenza di recidive e i costi per il Sistema Sanitario. Vantaggi concreti che per i primi due pazienti trattati si sono tradotti in un miglioramento della qualità di vita.
E ADESSO SERVONO CENTRI D’AVANGUARDIA
Attenzione però a pensare che la tecnica sia un qualcosa che diventerà subito di routine. Di fondamentale importanza è la preparazione dei centri: «L’Istituto Neurologico Carlo Besta – spiega il professor Francesco DiMeco, Direttore del Dipartimento di Neurochirurgia- è all’avanguardia nel trattamento delle neoplasie cerebrali. Tratta infatti il maggior numero di tumori cerebrali in Italia ed è stato scelto, a livello europeo, quale centro leader di questa innovativa tecnologia. Ritengo che l’innovazione sia tale solo se il contesto sanitario è pronto a riceverla. E sono convinto, oggi più che mai, che un’innovazione terapeutica come il laser mininvasivo di ablazione, per trasformarsi in un reale e concreto servizio al paziente debba essere erogata da strutture idonee, che posseggano il giusto livello di esperienza nella gestione della malattia, dove sia stato definito un percorso di cura chiaro e trasparente, in grado di orientare sia gli operatori sanitari coinvolti che i pazienti e i caregivers al massimo livello di appropriatezza. Questo per mantenere alto il livello di efficacia, qualità e sostenibilità delle cure».
@danielebanfi83