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Fare diagnosi di fibromialgia non è affatto semplice, anche perché non esistono, al momento, esami di laboratorio che permettano di individuarla in maniera inequivocabile. Secondo le stime disponibili, il disturbo, che mostra una spiccata prevalenza nel sesso femminile, interessa circa il 2-8% della popolazione, nella fascia di età 20-55 anni.

Anche quando si arriva a una diagnosi certa, i problemi non mancano, poiché fino a oggi, anche se esistono numerose linee guida su come trattarla, non sono universalmente accettate e condivise dall’intera comunità scientifica. Sono pochi, infatti, gli studi randomizzati controllati in materia e quindi la cura di ogni singolo paziente dipende essenzialmente dall’esperienza del medico che lo gestisce e dall’equipe multidisciplinare che lo segue.

La sindrome si caratterizza per una molteplicità di sintomi a volte aspecifici ma invalidanti per il paziente quali dolore, descritto come paragonabile a crampi, morsi, scosse elettriche o trafittura di coltelli, stanchezza che non sparisce e non si attenua con il riposo notturno, insonnia, malessere generale con rigidità mattutina, cefalea, reflusso gastroesofageo, dolori addominali, colon irritabile, difficoltà nella concentrazione e nella memoria.

LE SPERANZE DI OTTENERE UN TEST DIAGNOSTICO MIRATO

Recentemente, alcuni ricercatori dell’Ohio State University di Columbus, negli Stati Uniti, in uno studio pubblicato sulla rivista Journal of Biological Chemistry .

Hanno tentato, tramite una tecnica strumentale chiamata spettroscopia vibrazionale, di individuare le firme molecolari di patologie quali la fibromialgia, l’artrite reumatoide e il lupus. I risultati riportati dallo studio sembrano incoraggianti e se validati da ulteriori osservazioni, potrebbero nei prossimi anni condurre a individuare un test ematico di laboratorio attendibile per la diagnosi certa della condizione.

COME AFFRONTARE LA CONDIZIONE OGGI:L’ESPERTO RISPONDE

Nell’attesa di un test diagnostico, come si fa oggi la diagnosi della malattia? Come si affronta la condizione? Qual è la sua prognosi? Per cercare di fare il punto, abbiamo interpellato il Professor Vittorio Schweiger, dell’Università di Verona, membro dell’Associazione Italiana per lo Studio del Dolore Onlus (AISD) e referente dell’Ambulatorio per la Diagnosi e la Cura della Fibromialgia presso il Policlinico di Borgo Roma (VR) primo centro nazionale specializzato per i malati affetti da Fibromialgia (FM).

Qual è l’identikit del paziente che si rivolge al vostro centro?

«I pazienti fibromialgici che vediamo nel nostro centro si sono quasi sempre già rivolti a vari medici di diverse specializzazioni, spesso senza ottenere una diagnosi precisa o una terapia mirata. Ciò aumenta in loro la frustrazione di non essere compresi oppure, nel peggiore dei casi, di non essere assolutamente creduti riguardo la loro sofferenza, quasi fossero affetti da una malattia immaginaria. La fibromialgia infatti è ancora una patologia poco conosciuta, priva di test laboratoristici o strumentali dirimenti e per questo motivo molti medici nelle diverse parti del mondo hanno verso di essa, un ingiustificato atteggiamento di scetticismo. Riguardo alle caratteristiche di questi pazienti, un nostro studio recentemente pubblicato ha evidenziato come essi siano quasi esclusivamente femmine, di età compresa tra i 30 e i 60 anni, in gran parte lavoratrici e con un livello scolastico soprattutto primario o secondario».

Sono pazienti con diagnosi pregresse e in cerca di conferme?

«Molte pazienti hanno già un’ipotesi diagnostica anche se è molto raro che sia stata formulata sulla base dei criteri attualmente accettati dalle Linee Guida Internazionali. In questo caso, il nostro compito è quello di raccogliere la loro storia clinica, valutare la loro documentazione sanitaria e formulare o meno la diagnosi sulla base di questionari clinici appropriati. In qualche caso la paziente ha già una diagnosi di fibromialgia e noi ci limitiamo a confermarla e a spiegarla dettagliatamente, rispondendo a tutte le sue domande secondo le evidenze della letteratura e la nostra esperienza clinica. Purtroppo, le risorse disponibili nel Web spesso non servono ad altro che a confondere le idee ai pazienti, divulgando teorie non supportate da nessuno studio e ingenerando false aspettative sia sulla prognosi che sulle prospettive terapeutiche».

Avete pazienti da tutta italia?

«Al nostro Centro arrivano soprattutto pazienti dal Nord Italia, in particolare dal Veneto ma anche dal Trentino Alto Adige, dal Friuli, dalla Lombardia e dall’Emilia Romagna. Molti pazienti tuttavia sono giunti a noi anche da altre regioni italiane e alcuni anche dall’estero. I tempi d’attesa per una prima visita si aggirano circa intorno ai 30 giorni, con una possibile variabilità dovuta all’afflusso, che in alcuni mesi è particolarmente elevato. Tali visite vengono normalmente effettuate in regime ambulatoriale mutualistico».

Come si arriva alla diagnosi?

«È importante precisare che ancora oggi la diagnosi di fibromialgia è esclusivamente clinica. Essa si basa sulla applicazione di criteri diagnostici dell’American College of Rheumatology secondo l’ultima revisione del 2016, che valutano la presenza di dolore diffuso, stanchezza, disturbi di memoria e concentrazione, sonno non riposante, dolori al basso addome, depressione e mal di testa secondo una precisa combinazione e gradazione. Tutti i tentativi di identificare la malattia attraverso esami del sangue o strumentali hanno purtroppo ancora valore solo sperimentale e non sono stati trasferiti nella pratica clinica quotidiana. Va precisato inoltre che la fibromialgia, fino a qualche tempo fa considerata sostanzialmente una “diagnosi di esclusione” alternativa ad altre patologie, può presentarsi da sola ma anche in associazione a molte altre malattie, talvolta di tipo reumatologico».

Quali sono le loro prospettive di guarigione?

«I nostri dati sulla qualità di vita di questi pazienti hanno evidenziato un livello di benessere molto inferiore alla popolazione generale italiana, anche di quella sofferente per importanti malattie croniche come quelle neurologiche o cardiovascolari. Inoltre, i dati disponibili a livello mondiale dicono che la malattia ha un andamento cronico e con le terapie disponibili non vi sono ancora sostanziali prospettive di guarigione.

La maggior parte dei pazienti sperimenta un’altalena di peggioramenti e miglioramenti dei sintomi, legati talora a fattori ambientali, psicologici, fisici o spesso senza nessuna apparente spiegazione. Le terapie farmacologiche utilizzate, che vedono gli analgesici convenzionali sostanzialmente inefficaci se non peggiorativi, possono talvolta dare qualche miglioramento, ma spesso sono gravate di importanti effetti collaterali che ne limitano l’utilizzo o ne inducono una rapida sospensione. La vita di un paziente con fibromialgia è quindi particolarmente difficile, soprattutto se influisce in modo significativo sulle sue capacità lavorative e sociali. Il miglior modo di affrontare questa subdola malattia è lavorare sullo stile di vita. Grande importanza infatti hanno le tecniche riabilitative, l’attività fisica moderata e non affaticante, l’allontanamento dallo stress, la balneoterapia calda e le tecniche di rilassamento. Grande valore ha infine il supporto psicologico-comportamentale».

Un test ematico semplificherebbe la vita dei pazienti fibromialgicI?

«Credo che identificare un particolare dato laboratoristico o strumentale che sia esclusivo di questa malattia sarebbe importantissimo, non solo a fini diagnostici ma soprattutto perché svelerebbe finalmente quali sono i meccanismi che stanno alla base della fibromialgia. Questo consentirebbe di studiare e sperimentare nuove terapie, con risultati migliori sul dolore e sugli altri sintomi di cui soffrono queste pazienti».

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