Il disturbo ossessivo compulsivo, storicamente preso in carico esclusivamente dagli psicoanalisti, oggi è trattato attraverso percorsi psicoterapeutici e con il ricorso a farmaci deossessivizzanti.

La psichiatria, nel tempo, ha assorbito e metabolizzato molteplici apporti teorici provenienti da scuole di pensiero diverse a riguardo di questo pesante disturbo, arrivando, come succede anche per altri tipi di problematiche mediche, a un approccio multi-disciplinare e integrato (psichiatra insieme a psicoterapeuta).

La gravità del cosiddetto OCD, varia dai casi limite a base prevalentemente organica (squilibri neurobiologici che vengono trattati quasi esclusivamente attraverso la farmacoterapia), fino ad arrivare alle forme «sfumate» del disturbo, che colpiscono moltissime persone (pensiamo per esempio al timore di non aver chiuso la porta di casa, o la macchina, o al senso di «non aver finito» una determinata cosa - «not just right experience») e che rispondono anche a un trattamento esclusivamente psicoterapeutico.

La struttura centrale del disturbo è la stessa, ma l’entità della sua gravità varia, e soprattutto varia la sua forma, in termini di tipologia di compulsione.

Ecco le cinque forme di ossessioni compulsive più diffuse.

1) Checkers. Queste persone sentono l’impulso irrefrenabile di controllare (to check) che qualcosa sia chiuso/bloccato: eseguire quella chiusura o quel gesto rituale, spazza via mentalmente la sensazione che qualcosa non sia finito o non chiuso.

2) Washers. Questi soggetti compulsivamente (si) lavano o puliscono la casa, gli oggetti e gli indumenti, raggiungendo una certa soglia di senso di pulizia e igiene, fugando il timore di essere contaminati o non perfettamente puliti.

3) Orders. Per ripulire la mente dai pensieri ossessivi, queste persone creano intorno a sé un ambiente perfetto, usando simmetria e rigore.

4) Repeaters. Si chiamano anche «thinking ritualizes», scacciano via i pensieri ossessivi ripetendo un gesto o un’azione, anche mentale (contare fino a 10, ripetere delle parole o dei mantra), fino al punto in cui sia raggiunto uno stato di tranquillità percepita.

5) Hoarders. Questi soggetti sono anche identificati col termine di «accumulatori», rappresentano una categoria laterale dei pazienti con disturbo DOC (qui un articolo che approfondisce la questione).

Le cause non sono totalmente note, la psichiatria biologica presume ci possa essere uno scompenso nel milieu neurotrasmettitoriale (in particolare in riferimento al livello di serotonina), e un comportamento difettoso entro alcuni circuiti che collegano zone antiche del cervello a zone più recenti (qui l’approfondimento); la teoria psicanalitica dà altre spiegazioni, la psicoterapia a matrice cognitivista ancora altre.

Quello che si osserva in occasione di una «crisi» di DOC, è l’innalzarsi, a seguito della comparsa del pensiero ossessivo, del livello di ansia e di timore esperito soggettivamente, che viene placato con il ricorso alla compulsione, che riporta la mente a un livello di funzionamento normale.

Facciamo un esempio. Un pensiero ossessivo relativamente comune (e che quindi non corrisponde a un desiderio reale) è quello di agire violenza (anche sessuale) su persone care (bambini, famigliari). Il pensiero emerge come improvviso e procura un senso di timore e allarme (in seguito a una valutazione che il soggetto fa nei confronti del suo stesso pensiero). La curva dell’arousal (il livello di attivazione neurofisiologica dell’organismo) sale fino a raggiungere picchi insostenibili per il soggetto, che deve tentare, in tutti i modi, di placare il suo malessere: da qui le compulsioni.

Si osserva poi un fenomeno successivo per cui le compulsioni assumono forma di oggetto di dipendenza, e quand’anche il soggetto sperimentasse uno stato di relativa tranquillità con la mente vuota, «qualcosa», in assenza del pensiero ossessivo, sembrerebbe mancare: da qui il ritorno al pensiero fisso, che viene come ricercato, a metà tra il desiderio e la coazione.

Le cause, come si diceva, non sono completamente note: alcune teorie, tuttavia, sono più accreditate di altre: si tende a credere esista una forte componente biologica, per questo in prima linea l’approccio è farmacologico. Quando ci sono sintomi troppo invalidanti, vengono usati farmaci serotoninergici ad azione deossessivizzante, prescritti da uno psichiatra che conosca nel dettaglio la storia clinica del paziente.

In ambito di psicoterapia cognitivo-comportamentale (valutata la più efficace per contrastare il disturbo), si lavora molto, ma non solo, sul tema della responsabilità e del senso morale. Un senso di responsabilità ipertrofico, e un rigido assetto morale, producono pensieri ossessivi (alcuni studi indagarono le conseguenze di uno stile di leadership autoritario e puntiglioso sugli impiegati, che vennero osservati sviluppare comportamenti simil-ossessivi).

Il lavoro è quindi finalizzato ad «ammorbidire» il proprio approccio alla realtà e il proprio senso morale. Vengono inoltri usati qui dei protocolli che de-strutturano il pensiero del paziente, osservando lo svolgimento della dinamica ossessiva nel suo nascere (a partire dall’evento scatenante, fino alla messa in atto della compulsione), per imparare a «disimpararla».


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