Oggi ictus, aneurismi ed emorragie cerebrali fanno sempre meno paura. Se sino a pochi anni fa le uniche vie per risolvere queste situazioni erano rappresentate dalle cure farmacologiche e dalla chirurgia che prevedeva l’apertura della scatola cranica, oggi grazie alla chirurgia endovascolare la percentuale di persone che sopravvive a questi eventi aumenta sempre di più. In ogni caso è il tempo a fare la differenza: ogni minuto perso causa la morte di 2 milioni di neuroni.

Ictus, aneurismi ed emorragie cerebrali: le differenze

Il termine più generale per descrivere un problema di circolazione sanguigna a livello del cervello è «ischemia cerebrale». Tecnicamente questa condizione è caratterizzata da un ridotto flusso di sangue nel cervello. Le cause di ischemia sono molteplici, le più comuni sono gli ictus e le emorragie cerebrali.

«Con il termine di ictus -spiega Italo Linfante, direttore del dipartimento di Neuroradiologia Interventistica a Neurochirurgia Endovascolare del Miami Cardiac and Vascular Institute e presidente della Society of Vascular and Interventional Neurology (SVIN)- ci riferiamo all’ostruzione a livello cerebrale delle arterie che garantiscono il corretto flusso di sangue. Quando ciò accade le aree a valle del blocco non possono essere sufficientemente irrorate e, con il passare del tempo, vanno incontro a morte cellulare».

Diverso è il discorso delle emorragie cerebrali: in questi frangenti il ridotto flusso di sangue è dovuto alla rottura di un vaso. Ciò che si verifica non è solo la morte dei neuroni ma anche un accumulo di liquidi che comprimono le pareti del cranio. «Un’emorragia cerebrale –continua Linfante- può avere origine da diverse cause. Le più comuni sono, ad esempio, i traumi cerebrali. Non solo, un’emorragia può verificarsi anche in seguito ad un ictus. Ma una delle cause più frequenti e pericolose è la presenza di aneurismi cerebrali, ovvero delle dilatazioni di alcune arterie all’interno del cervello che, con il passare del tempo, possono espandersi, fino a rompersi e sanguinare».

I sintomi a cui prestare attenzione

Disturbi improvvisi della parola, difficoltà a comprendere ciò che viene detto, bocca storta e perdita di forza in un lato del corpo sono alcune manifestazioni di ictus in atto. Non solo: anche la perdita di equilibrio e uno strano mal di testa mai provato sono sintomi tipici di un’ischemia cerebrale in corso. Diverso è il discorso per gli aneurismi: quando non sono ancora rotti non danno sintomi e per questa ragione sono molto pericolosi. Al mondo si calcola che il 5% della popolazione abbia un aneurisma cerebrale silente.

Come si interviene?

Sino a poco tempo fa l’approccio più utilizzato per risolvere un ictus era quello farmacologico. Attraverso la somministrazione di alcune particolari molecole è infatti possibile disgregare l’ostruzione. Purtroppo però l’approccio farmacologico funziona solo quando i trombi sono di piccole dimensioni. Circa un terzo degli ictus avviene perché si ostruiscono i grandi vasi e in questi casi la chimica poco può fare.

Da qualche anno, grazie alla ricerca, questo problema può essere superato grazie agli interventi endovascolari. Attraverso un catetere inserito nell’arteria femorale è possibile risalire sino al cervello e arrivare nella zona dove è presente l’ostruzione. «La tecnica -spiega Linfante- si chiama trombectomia e avviene per mezzo di dispositivi chiamati “stent-trievers” o “large aspiration catheters”. Con questi strumenti il chirurgo endovascolare rimuove il trombo a livello del vaso cerebrale ostruito responsabile dell’ictus ripristinando così la normale circolazione cerebrale».

Riparare l’aneurisma

Ma anche per gli aneurismi la rivoluzione passa dall’approccio endovascolare. Fino ad alcuni anni fa la tecnica base per trattare questi “eventi” prevedeva la craniotomia e il successivo posizionamento di una clip che, come una vera e propria pinza, isolava l’aneurisma. Oggi invece, sempre risalendo dall’arteria femorale, è possibile riempire la sacca aneurismatica attraverso la creazione di una sfera formata da spirali di platino. Una vera e propria impalcatura capace di evitare la rottura e di promuovere il riassorbimento del sangue.

Ma c’è di più: nei casi più difficili da trattare oggi è anche disponibile una nuova tecnologia, il «flow-diverter». «Tecnicamente –spiega l’esperto- è uno stent che permette di canalizzare il sangue escludendo così l’aneurisma. Una sorta di rete metallica inserita nell’arteria dove è presente il problema. Con esso si ripristina il flusso di sangue escludendo totalmente l’aneurisma. In aggiunta la rete metallica del flow-diverter agisce come substrato per ricostruire dall’interno un’arteria danneggiata. Questo permette di riparare con successo aneurismi cerebrali giganti ( > 25 mm in diametro) e aneurismi dissecanti dove altrimenti la mortalità operatoria con tecniche di chirurgia tradizionale è molto alta».

Prima si interviene minori sono i danni

Ma se tutto ciò sta contribuendo a cambiare in meglio la vita di chi è colpito da ictus e aneurismi, il fattore tempo è alla base di tutto. «Se trattati tempestivamente, la sopravvivenza aumenta, le disabilità associate all’evento diminuiscono e i tempi di recupero si accorciano» conclude Linfante.

Prima si interviene e minori saranno i danni ma ciò non è sempre possibile per via della scarsa organizzazione sul territorio delle stroke-unit. Quando non si agisce tempestivamente la persona se sopravvive andrà incontro a notevoli problemi. Dei 900 mila italiani che oggi hanno superato un primo ictus un terzo presenta un grado di invalidità medio-grave.

Ogni minuto perso equivale ad un giorno di vita in meno goduto in buona salute. Attenzione però a pensare che sia solo questione di organizzazione. La prevenzione rimane fondamentale. Un esempio? L’80% degli ictus si verifica nelle persone ipertese. Ecco perché controllare e abbassare la pressione sanguigna è la prima mossa da mettere in atto insieme all’eliminazione del fumo e al controllo del peso.

@danielebanfi83


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