Spazza via molti dogmi della medicina. È la «rivoluzione del microbiota», l’insieme dei microrganismi - miliardi di batteri, virus e funghi - che colonizzano la pelle e gli apparati digerente, genitale-urinario e respiratorio. Il microbiota è la nostra centrale biochimica, che svolge funzioni metaboliche e immunitarie, consentendo l’assimilazione dei cibi, regolando l’immunità delle mucose e fungendo da barriera contro i patogeni. Scoperta di recente, perché costituita per la maggior parte da batteri anaerobi (non hanno bisogno di ossigeno e non crescono in coltura al di fuori dell’organismo), questa «materia oscura» «ha una vita propria, prospera con il cibo che mangiamo e produce molte sostanze, come neurotrasmettitori e antibiotici», ha spiegato Antonio Gasbarrini, direttore dell’Area gastroenterologia e oncologia del Policlinico Gemelli, in un seminario organizzato da Sanofi.
Questi microrganismi influenzano anche il sistema nervoso autonomo dell’intestino, il cosiddetto «secondo cervello», creando una rete. Tanto che un’alterazione di questa biomassa è all’origine - o la concausa - di molte patologie infiammatorie, oltre che immunitarie, metaboliche, neurologiche e neurodegenerative. «Risultati importanti provengono anche dall’oncobiotica, disciplina che studia il microbioma nella genesi e nella cura delle malattie neoplastiche», aggiunge Gasbarrini.
Si moltiplicano le scoperte sui microrganismi che ci colonizzano e regolano molti processi dell’organismo:
riuscire a regolarli significa applicare
terapie su misura e più efficaci
Secondo due studi su «Science», «i pazienti oncologici che non rispondono agli immunoterapici sono privi di alcune specie batteriche, la cui reintroduzione porta con sé la sensibilità a uno specifico farmaco». E non c’è area che sia esclusa. È il caso della psichiatria: i batteri psicobiotici, modulando l’umore, influenzano il comportamento.
Quello che è sorprendente è che, «trasferendo in un animale sano i batteri di chi soffre, per esempio, di obesità, colite ulcerosa, schizofrenia o Parkinson, si osserva lo sviluppo di alcune caratteristiche cliniche della patologia». Si suppone, quindi, che lo stesso valga nell’uomo. Per questo l’attenzione è rivolta al trapianto di microbioma, opzione terapeutica già riconosciuta per l’infezione da Clostridium difficile.
Un momento delicato è il parto, quando l’organismo del piccolo viene colonizzato dal microbiota vaginale della madre. Quando poi il sistema immunitario giunge a maturazione in età adulta, tollera proprio quelle popolazioni batteriche che l’avevano investito alla nascita e nei primi anni di vita. Ma la flora batterica si può manipolare. «L’acquisizione dei nuovi ceppi è un processo - ha commentato il microbiologo Justin Sonnenburg della Stanford University, autore di uno studio su “Nature” - che mostra come è possibile riprogrammare i residenti nell’intestino». Per favorire l’attecchimento sul tappeto intestinale dei ceppi batterici che rischiano di «passare oltre» si può agire sulla dieta. «Arriveremo a una nutrizione selettiva, che favorisca certe classi batteriche - conferma Gasbarrini - ma dobbiamo scoprire di che cosa si alimentano».
Per gli scienziati, quindi, il cibo diventerà una terapia modulata dai batteri stessi, che ingegnerizzeremo, inserendoli nell’intestino come centrali metaboliche. Con cautela, però: «Il problema sarà disattivarli o attivarli». Il futuro è all’orizzonte: «Nasceranno delle “Microbiome Clinic” (ad oggi l’unica in Italia è al Gemelli, ndr) dove, sulla base del profilo genetico del microbiota di ciascuno, somministreremo prodotti bioterapeutici vivi su misura, diagnosticheremo malattie o il rischio di svilupparle e identificheremo i donatori di biomasse per i trapianti».
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