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Con l’emergenza sanitaria in corso, le terapie intensive allo stremo e le autombulanze occupate a trasportare pazienti con insufficienza respiratoria, bisogna evitare il rischio che altre emergenze per patologie tempo-dipendenti, come gli ictus, non vengano più trattate adeguatamente. L’appello a garantire a questi pazienti «percorsi diagnostici e terapeutici efficienti ed efficaci» viene dall’Associazione per la Lotta all’Ictus Cerebrale A.L.I.Ce. Italia ODV. Le Stroke Unit devono continuare a lavorare perché l’ictus cerebrale colpisce 150mila italiani l’anno e rappresenta nel nostro paese la terza causa di morte. Agire in tempo utile, trasportando il paziente in ospedale e trattandolo tempestivamente, serve a ridurre la mortalità e a evitare i devastanti deficit neurologici permanenti. «É importante che non si verifichi alcun calo degli accessi al Pronto Soccorso in chi manifesta sintomi che possono essere “campanelli d’allarme” di questa patologia. E’ dunque fondamentale riconoscere il prima possibile i sintomi e chiamare immediatamente il 112 in modo da poter arrivare velocemente in Ospedale» è l’appello di A.L.I.Ce.

In Lombardia, la regione più colpita dall’emergenza sanitaria di Covid-19, gli ictus sono 15mila l’anno, quasi 300 a settimana. «Sicuramente si nota una diminuzione dei pazienti che arrivano in ospedale» commenta Elio Agostoni direttore della Stroke Unit dell’Ospedale Niguarda Ca’ Granda di Milano, uno dei centri «hub» per la gestione degli ictus in tutto il milanese, come stabilito dalla riorganizzazione delle reti tempo-dipendenti durante l’emergenza Covid-19, prevista da Regione Lombardia nella delibera dell’8 marzo, per garantire la continuità dei servizi di urgenza nelle patologie come ictus, infarti, traumi e urgenze neurochirurgiche. Oggi le «Stoke Unit» sono, oltre al Niguarda, sono l’Humanitas Milano, l’Ospedale Sant'Anna di Como, l’Ospedale di Circolo Varese, il Policlinico San Matteo Pavia, Mantova (in collaborazione con equipe di Cremona), l’Ospedale di Legnano, l’Ospedale di Lecco e il San Gerardo di Monza, che serve anche Bergamo, la più colpita da Covid-19. Ciò significa, ad esempio, che un paziente colpito da ictus nell’area di Bergamo, in piena emergenza Covid-19, viene trasportato fino a Monza.

Eppure, «l’epidemiologia dell’ictus non è certo cambiata in queste settimane» commenta Elio Agostoni. Sul perché allora siano diminuiti i casi di ictus traferiti in ospedale si possono fare solo delle ipotesi, al momento: «Probabilmente, il timore dei parenti di vedere portare il proprio caro in un ospedale li spinge, nei casi meno gravi, a non chiamare; inoltre, non abbiamo ancora i dati dei decessi in casa» spiega il neurologo, la cui Stoke Unit ora serve tutto il milanese, ha raddoppiato i turni: «Al Niguarda, abbiamo un percorso “pulito”, chi arriva salta il Pronto Soccorso e viene trattato rapidamente; in caso di necessità, dopo il trattamento, il paziente può essere in seguito trasferito nei centri “spoke” sul territorio». La trombolisi farmacologica, che consiste nell’iniezione endovenosa di un agente in grado di sciogliere i trombi, e la trombecromia meccanica, che per via endovascolare consente di eliminare il trombo aspirandolo o catturandolo, sono praticabili solo all’interno di una finestra temporale precisa che non supera le 4/5 ore. «In Lombardia, in media il 118 arrivava a casa del paziente in 8-10 minuti dalla chiamata; ora ci può volere anche un’ora. Per le lunghe distanze, l’Areu Azienda Regionale Emergenza Urgenza usa l’elicottero, l’organizzazione c’è». In caso di paziente in arrivo anche con sospetto Covid, spesso, non resta che trattare immediatamente, per non perdere ulteriore tempo. Poi, vi sono i casi di ictus nei pazienti Covid-positivi, non sono pochi e spesso sono anche i più gravi.

Con l’emergenza sanitaria in corso, le terapie intensive allo stremo e le autombulanze occupate a trasportare pazienti con insufficienza respiratoria, bisogna evitare il rischio che altre emergenze per patologie tempo-dipendenti, come gli ictus, non vengano più trattate adeguatamente. L’appello a garantire a questi pazienti «percorsi diagnostici e terapeutici efficienti ed efficaci» viene dall’Associazione per la Lotta all’Ictus Cerebrale A.L.I.Ce. Italia ODV. Le Stroke Unit devono continuare a lavorare perché l’ictus cerebrale colpisce 150mila italiani l’anno e rappresenta nel nostro paese la terza causa di morte. Agire in tempo utile, trasportando il paziente in ospedale e trattandolo tempestivamente, serve a ridurre la mortalità e a evitare i devastanti deficit neurologici permanenti. «É importante che non si verifichi alcun calo degli accessi al Pronto Soccorso in chi manifesta sintomi che possono essere “campanelli d’allarme” di questa patologia. E’ dunque fondamentale riconoscere il prima possibile i sintomi e chiamare immediatamente il 112 in modo da poter arrivare velocemente in Ospedale» è l’appello di A.L.I.Ce.

In Lombardia, la regione più colpita dall’emergenza sanitaria di Covid-19, gli ictus sono 15mila l’anno, quasi 300 a settimana. «Sicuramente si nota una diminuzione dei pazienti che arrivano in ospedale» commenta Elio Agostoni direttore della Stroke Unit dell’Ospedale Niguarda Ca’ Granda di Milano, uno dei centri «hub» per la gestione degli ictus in tutto il milanese, come stabilito dalla riorganizzazione delle reti tempo-dipendenti durante l’emergenza Covid-19, prevista da Regione Lombardia nella delibera dell’8 marzo, per garantire la continuità dei servizi di urgenza nelle patologie come ictus, infarti, traumi e urgenze neurochirurgiche. Oggi le «Stoke Unit» sono, oltre al Niguarda, sono l’Humanitas Milano, l’Ospedale Sant'Anna di Como, l’Ospedale di Circolo Varese, il Policlinico San Matteo Pavia, Mantova (in collaborazione con equipe di Cremona), l’Ospedale di Legnano, l’Ospedale di Lecco e il San Gerardo di Monza, che serve anche Bergamo, la più colpita da Covid-19. Ciò significa, ad esempio, che un paziente colpito da ictus nell’area di Bergamo, in piena emergenza Covid-19, viene trasportato fino a Monza.

Eppure, «l’epidemiologia dell’ictus non è certo cambiata in queste settimane» commenta Elio Agostoni. Sul perché allora siano diminuiti i casi di ictus traferiti in ospedale si possono fare solo delle ipotesi, al momento: «Probabilmente, il timore dei parenti di vedere portare il proprio caro in un ospedale li spinge, nei casi meno gravi, a non chiamare; inoltre, non abbiamo ancora i dati dei decessi in casa» spiega il neurologo, la cui Stoke Unit ora serve tutto il milanese, ha raddoppiato i turni: «Al Niguarda, abbiamo un percorso “pulito”, chi arriva salta il Pronto Soccorso e viene trattato rapidamente; in caso di necessità, dopo il trattamento, il paziente può essere in seguito trasferito nei centri “spoke” sul territorio». La trombolisi farmacologica, che consiste nell’iniezione endovenosa di un agente in grado di sciogliere i trombi, e la trombecromia meccanica, che per via endovascolare consente di eliminare il trombo aspirandolo o catturandolo, sono praticabili solo all’interno di una finestra temporale precisa che non supera le 4/5 ore. «In Lombardia, in media il 118 arrivava a casa del paziente in 8-10 minuti dalla chiamata; ora ci può volere anche un’ora. Per le lunghe distanze, l’Areu Azienda Regionale Emergenza Urgenza usa l’elicottero, l’organizzazione c’è». In caso di paziente in arrivo anche con sospetto Covid, spesso, non resta che trattare immediatamente, per non perdere ulteriore tempo. Poi, vi sono i casi di ictus nei pazienti Covid-positivi, non sono pochi e spesso sono anche i più gravi.