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La lotta al cambiamento climatico. La salute nelle zone di guerra. Garantire un accesso più equo ai servizi sanitari e ai farmaci, indipendentemente dalle possibilità economiche. Mettere in campo tutte le armi a disposizione per trovare una soluzione alle infezioni ancora irrisolte ed essersi pronti di fronte all’evenienza di nuove epidemie. Proteggere i cittadini dalla mancanza di cibo e dalla diffusione di quello di scarsa qualità. Investire sugli operatori sanitari e tornare a dare loro fiducia. Tutelare la salute degli adolescenti, proteggendoli (innanzitutto) dai rischi derivanti dall’uso di sostanze stupefacenti. Sfruttare le nuove tecnologie e, infine, arginare la resistenza agli antibiotici e garantire l’igiene minima delle strutture sanitarie. Sono queste le 13 sfide che, all’inizio dell’anno e prima dell’abbattersi della pandemia del Coronavirus, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ha individuato per il prossimo decennio. «Dobbiamo riscoprire la salute come investimento per il futuro - ha affermato il direttore generale, Tedros Adhanom Ghebreyesus -. I governi, le comunità e le agenzie internazionali devono lavorare a braccetto per raggiungere questi obbiettivi».

In cima alla lista la lotta al clima

Ricca e ambiziosa, la «lista della spesa» stilata dall’agenzia sanitaria delle Nazioni Unite tiene conto dei bisogni registrati alle diverse latitudini del Pianeta. Non stupisce allora che nell’elenco si ritrovino - senza ordine di priorità - i temi più dibattuti degli ultimi anni. L’inquinamento atmosferico, per esempio, è causa di 7 milioni di decessi ogni anno. Molte di queste, però, nell’immaginario collettivo non vengono ricondotte all’aria sempre meno salubre che respiriamo. Più tangibile è invece l’impatto degli eventi metereologici estremi, in grado di causare decessi per cause acute (infarti, ictus), di aggravare pregresse condizioni di malnutrizione e di favorire la circolazione di microrganismi patogeni. Ecco il passaggio dal clima alle nuove epidemie, l’ultima delle quali sta spaventando la Cina e il Giappone (coronavirus). Malattie infettive che, nell’epoca di quelle croniche non trasmissibili, sembravano costituire il passato remoto. Ma che in realtà, con alcune differenze territoriali, continuano a falcidiare l’uomo, tra recrudescenze e nuove condizioni.

Malnutrizione (per eccesso e per difetto)

Altro tema molto caldo è quello della nutrizione, che sta sempre più dividendo la popolazione in due fazioni: da una parte chi ha poco cibo e di scarsa qualità, dall’altra coloro che potrebbero mangiare a tutte le ore e che spesso ricorrono al «junk food». Si tratta di due facce della stessa medaglia che determinano problemi opposti. Ma con epiloghi che, nel peggiore dei casi, possono essere i medesimi. Produrre cibo per 7 miliardi di persone, inoltre, ha una ricaduta anche sullo scenario climatico: con aumento delle temperature, compromissione della biodiversità, maggiore inquinamento e consumo di suolo e acqua. Una situazione a cui occorre porre necessariamente rimedio, considerando che per il 2050 si stima che sul Pianeta ci saranno almeno nove miliardi di persone.

Rimettere al centro gli operatori sanitari

Almeno nei Paesi occidentali, nessuno Stato più dell’Italia sta vivendo la crisi dei camici bianchi. Quello che era un lavoro sicuro e ricercato in passato, oggi lungo la Penisola sembrano voler farlo in pochi. Non perché sia svanita di colpo la passione nei confronti della medicina, ma perché i continui tagli nell’istruzione e nel mondo del lavoro hanno progressivamente eroso la quota di medici, infermieri e ostetriche. E quanto sta accadendo nelle settimane del Coronavirus - con oltre diecimila professionisti sanitari contagiati e quasi un centinaio di morti - di certo non sarà un volano per agevolare la ripresa. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, per non mettere a repentaglio l’assistenza sanitaria e sociale, oltre eventualmente a servizi sanitari solidaristici come quello italiano, occorrerà assumere (a livello globale) 18 milioni di operatori sanitari entro il 2030. L’emergenza, anche in questo caso, riguarda soprattutto i Paesi più poveri. Ma la spia rossa si è accesa anche in Italia, soprattutto nelle regioni meridionali. «Dobbiamo ritrovare la fiducia nei confronti di chi si prende cura di noi - ha aggiunto Ghebreyesus -. La salute pubblica è stata compromessa dalla diffusione incontrollata della disinformazione e dall'erosione del credito nei confronti delle istituzioni pubbliche». Inevitabile pensare al calo delle vaccinazioni e all’emergenza legata alla perdita di efficacia degli antibiotici. È questa un’altra delle priorità per il decennio 2020-2030. «Altrimenti rischiamo di rendere nuovamente pericoloso anche il più banale intervento chirurgico», ha concluso Ghebreyesus.

Twitter @fabioditodaro

La lotta al cambiamento climatico. La salute nelle zone di guerra. Garantire un accesso più equo ai servizi sanitari e ai farmaci, indipendentemente dalle possibilità economiche. Mettere in campo tutte le armi a disposizione per trovare una soluzione alle infezioni ancora irrisolte ed essersi pronti di fronte all’evenienza di nuove epidemie. Proteggere i cittadini dalla mancanza di cibo e dalla diffusione di quello di scarsa qualità. Investire sugli operatori sanitari e tornare a dare loro fiducia. Tutelare la salute degli adolescenti, proteggendoli (innanzitutto) dai rischi derivanti dall’uso di sostanze stupefacenti. Sfruttare le nuove tecnologie e, infine, arginare la resistenza agli antibiotici e garantire l’igiene minima delle strutture sanitarie. Sono queste le 13 sfide che, all’inizio dell’anno e prima dell’abbattersi della pandemia del Coronavirus, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ha individuato per il prossimo decennio. «Dobbiamo riscoprire la salute come investimento per il futuro - ha affermato il direttore generale, Tedros Adhanom Ghebreyesus -. I governi, le comunità e le agenzie internazionali devono lavorare a braccetto per raggiungere questi obbiettivi».

In cima alla lista la lotta al clima

Ricca e ambiziosa, la «lista della spesa» stilata dall’agenzia sanitaria delle Nazioni Unite tiene conto dei bisogni registrati alle diverse latitudini del Pianeta. Non stupisce allora che nell’elenco si ritrovino - senza ordine di priorità - i temi più dibattuti degli ultimi anni. L’inquinamento atmosferico, per esempio, è causa di 7 milioni di decessi ogni anno. Molte di queste, però, nell’immaginario collettivo non vengono ricondotte all’aria sempre meno salubre che respiriamo. Più tangibile è invece l’impatto degli eventi metereologici estremi, in grado di causare decessi per cause acute (infarti, ictus), di aggravare pregresse condizioni di malnutrizione e di favorire la circolazione di microrganismi patogeni. Ecco il passaggio dal clima alle nuove epidemie, l’ultima delle quali sta spaventando la Cina e il Giappone (coronavirus). Malattie infettive che, nell’epoca di quelle croniche non trasmissibili, sembravano costituire il passato remoto. Ma che in realtà, con alcune differenze territoriali, continuano a falcidiare l’uomo, tra recrudescenze e nuove condizioni.

Malnutrizione (per eccesso e per difetto)

Altro tema molto caldo è quello della nutrizione, che sta sempre più dividendo la popolazione in due fazioni: da una parte chi ha poco cibo e di scarsa qualità, dall’altra coloro che potrebbero mangiare a tutte le ore e che spesso ricorrono al «junk food». Si tratta di due facce della stessa medaglia che determinano problemi opposti. Ma con epiloghi che, nel peggiore dei casi, possono essere i medesimi. Produrre cibo per 7 miliardi di persone, inoltre, ha una ricaduta anche sullo scenario climatico: con aumento delle temperature, compromissione della biodiversità, maggiore inquinamento e consumo di suolo e acqua. Una situazione a cui occorre porre necessariamente rimedio, considerando che per il 2050 si stima che sul Pianeta ci saranno almeno nove miliardi di persone.

Rimettere al centro gli operatori sanitari

Almeno nei Paesi occidentali, nessuno Stato più dell’Italia sta vivendo la crisi dei camici bianchi. Quello che era un lavoro sicuro e ricercato in passato, oggi lungo la Penisola sembrano voler farlo in pochi. Non perché sia svanita di colpo la passione nei confronti della medicina, ma perché i continui tagli nell’istruzione e nel mondo del lavoro hanno progressivamente eroso la quota di medici, infermieri e ostetriche. E quanto sta accadendo nelle settimane del Coronavirus - con oltre diecimila professionisti sanitari contagiati e quasi un centinaio di morti - di certo non sarà un volano per agevolare la ripresa. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, per non mettere a repentaglio l’assistenza sanitaria e sociale, oltre eventualmente a servizi sanitari solidaristici come quello italiano, occorrerà assumere (a livello globale) 18 milioni di operatori sanitari entro il 2030. L’emergenza, anche in questo caso, riguarda soprattutto i Paesi più poveri. Ma la spia rossa si è accesa anche in Italia, soprattutto nelle regioni meridionali. «Dobbiamo ritrovare la fiducia nei confronti di chi si prende cura di noi - ha aggiunto Ghebreyesus -. La salute pubblica è stata compromessa dalla diffusione incontrollata della disinformazione e dall'erosione del credito nei confronti delle istituzioni pubbliche». Inevitabile pensare al calo delle vaccinazioni e all’emergenza legata alla perdita di efficacia degli antibiotici. È questa un’altra delle priorità per il decennio 2020-2030. «Altrimenti rischiamo di rendere nuovamente pericoloso anche il più banale intervento chirurgico», ha concluso Ghebreyesus.

Twitter @fabioditodaro