Nel nostro primo appuntamento dedicato alla Mandragola abbiamo letto della spassosa commedia di Machiavelli che eternò la tradizione, legata alla fertilità e all’eros, di questa pianticella spontanea.

Per la stranissima forma della sua radice, dopotutto, questo vegetale non poteva non colpire la fantasia degli antichi: possiede, infatti, un curioso aspetto antropomorfo, si biforca in fittoni bitorzoluti che ricordano facilmente le gambe e le braccia di un essere umano.

Mandragora, lo strano vegetale che nell’antichità fu erba miracolosa e maledetta

andrea cionci

Dal patibolo alla terra

La leggenda che riguarda la nascita della mandragola è piuttosto raccapricciante: si tramandava che essa spuntasse nel terreno dove erano cadute le gocce di sperma o di urina degli impiccati, specie se innocenti. La credenza trae origine da un fenomeno reale che coinvolgeva quasi un’esecuzione su tre: la pressione del cappio sul cervelletto produceva infatti questo rilascio spontaneo di fluidi.

Tale “origine “maledetta” rese quindi la pianta un emblema di ambiguità: poteva guarire i malati, ma allo stesso tempo portarli alla perdizione, così come poteva essere portatrice di un buon sonno, oppure far impazzire; fungere da rimedio contro il morso dei serpenti, ma essere anche un veleno.

Considerata, insomma, un vegetale molto pericoloso, la sua raccolta era un’operazione delicatissima che richiedeva mille precauzioni.

Una raccolta rituale

Fin dall’età classica si riteneva che la mandragola fosse abitata da uno spirito maligno che, se bruscamente risvegliato, avrebbe emesso un terribile urlo tale da far impazzire e/o morire il malcapitato raccoglitore.
I sistemi per evitare tali conseguenze sono stati tramandati da Teofrasto di Lesbo (312-287 a.C.) Plinio il Vecchio (Como, 23 – Stabia, 79), Flavio Giuseppe (37-100 d.C.) e altri.

Semplificando tra le varie versioni, il rito doveva innanzitutto svolgersi di venerdi, al tramonto. Si tracciavano intorno alla pianta tre cerchi con una spada di ferro che non fosse mai stata usata. Dopo aver ammorbidito il terreno con sangue mestruale, o urina femminile, la mandragola poteva essere raccolta o da una vergine o, meglio ancora, da un cane nero affamato legato con una corda alla radice. Dopo essersi tappati le orecchie con della cera, si offriva della carne all’animale e questo, tirando la fune per raggiungere il cibo, avrebbe estratto la mandragola. Naturalmente, il cane sarebbe stato ucciso subito dopo dal grido della pianta che solo allora avrebbe potuto essere raccolta senza pericoli.

Il dipinto del naturalista

Vi è uno splendido dipinto di un pittore inglese preraffaellita, Robert Bateman (1842–1922) intitolato «Three people plucking mandrake» che raffigura proprio due giovani donne intente a estrarre con delle funicelle una radice di mandragora. Del resto, Bateman conosceva a fondo il mondo vegetale – e le sue leggende - essendo il terzo figlio dell’orticoltore e proprietario terriero che costruì lo splendido giardino paesaggistico di Biddulph Grange, nello Staffordshire.

Robert era specializzato nel gouache (ovvero un tipo di pittura a tempera in cui il pigmento è arricchito con biacca di piombo e gomma arabica) ma era anche noto come naturalista, disegnatore botanico, scultore, illustratore di libri e studioso di italiano. Sono giunti fino ai nostri giorni i suoi splendidi giardini a Benthall Hall ancor oggi mantenuti dal National Trust.

Non a caso, il suo collega Walter Crane descrisse la pittura di Bateman come : «Un mondo magico di romanticismo e poesia raffigurata, un mondo crepuscolare di oscuri boschi misteriosi, ruscelli infestati, perline di verde intenso costellati di fiori in fiamme, velati da una luce fioca e mistica».

Mandrake the magician

Per rimanere in ambito anglosassone, come si evince dal titolo del dipinto di Bateman, la parola «madrake», in inglese indica appunto la madragola. Non stupisce quindi che il disegnatore americano Lee Falk (Saint Louis, 28 aprile 1911 – New York, 13 marzo 1999), avesse scelto questo nome per il suo più famoso personaggio dei fumetti. Si trattava di un elegantissimo e benefico mago al quale, nel periodo di maggior successo, tra gli Anni 40 e 50, venne anche dedicata una serie di film.

Pochi sanno, tuttavia, che mentre Falk si era ispirato per il disegno alle proprie fattezze, esisteva un vero prestigiatore, tale Leon Mandrake, che somigliava in tutto e per tutto al mago dei fumetti: baffi neri, capelli impomatati e un bastone da passeggio con un pomo voluminoso a mo’ di bacchetta magica. Il disegnatore e l’illusionista divennero poi amici e si accordarono per trarre reciproco vantaggio pubblicitario dal fumetto.

L’«homunculus»

La mandragola farà nuovamente capolino nel mondo del cinema in anni recenti. In «Harry Potter e la camera dei segreti» (2002) la professoressa Pomona Sprout istruisce i suoi allievi su come si estraggono le radici della pianta, non prima di aver fatto loro indossare delle cuffie insonorizzanti per sfuggire al mortifero grido della radice umanoide.

Di quattro anni dopo, «Il labirinto del fauno» in cui ricorre un'altra caratteristica leggendaria della mandragola. La radice viene posta da Ofelia, la bambina protagonista, sotto il letto di sua madre Carmen, caduta malata. Allevata con latte e sangue da Ofelia, la radice eserciterà il proprio potere curativo sulla degente.

E’ questo il mito dell’homunculus, la credenza secondo la quale la radice di mandragola potesse essere allevata come un piccolo essere umano, per giunta dotato di straordinari poteri.