Si celebra oggi il Nano World Cancer Day, iniziativa lanciata nel 2013 dalla European Technology Platform on Nanomedicine ETPN con l’obiettivo di informare sulle potenzialità della nanomedicina come strumento di diagnosi e cura nella lotta contro il cancro.

Disciplina piuttosto giovane, la nanomedicina utilizza dispositivi delle dimensioni di circa un miliardesimo di metro. Le nanoparticelle, opportunamente ingegnerizzate, sono in grado di veicolare selettivamente i farmaci verso gli organi, i tessuti o le cellule malate, superando gli ostacoli posti dalle barriere biologiche che proteggono l’organismo proprio grazie alle loro particolari strutture. Possono interagire direttamente con il DNA e con altre molecole all’interno delle cellule, possono riparare e costruire tessuti ma anche pattugliare il corpo a scopo diagnostico, intercettando infezioni o visualizzando i virus.

Oltre a questi nanovettori, che agiscono da trasportatori del farmaco, gli scienziati creano anche nanostrutture porose che lo inglobano e lo rilasciano a comando, e disegnano biomolecole di dimensioni infinitesimali, altamente selettive e personalizzate. Tutto questo consente un raffinatissimo controllo sulla concentrazione, sul rilascio e sula permanenza in circolo del farmaco, con una conseguente riduzione delle dosi somministrate rispetto alla farmacologia tradizionale.

Sono passati più di vent’anni da quando i primi farmaci trasportati da nanoparticelle sono entrati in uso clinico; da allora, questa nuova disciplina non ha smesso di crescere. I settori più promettenti riguardano i chemioterapici, il trattamento di malattie infiammatorie e neurodegenerative, gli antivirali, la terapia genica e la medicina rigenerativa.

«A fronte di queste potenzialità, ci sono ostacoli che rallentano la crescita del settore nanotecnologico» ci spiega Massimo Masserini, Direttore del Centro di Nanomedicina NanoMiB dell’Università di Milano-Bicocca e direttore della International School of Nanomedicine di Erice. «Le ragioni sono molteplici, e vanno dai costi elevati necessari per realizzare nanodispositivi, costi che vanno ad aggiungersi a quello dei farmaci da trasportare, a leggi inadeguate per la sperimentazione clinica di nanofarmaci, alla diffidenza verso le nanotecnologie dell’opinione pubblica, che spesso confonde i nanomateriali industriali inquinanti con quelli, invece sicuri per la salute, utilizzati nel campo medico».

Il professor Massimo Massimi del dipartimento di medicina e chirurgia di Bicocca, al primo posto in Italia nella lista dei dipartimenti di eccellenza nella classifica stilata dall’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (Anvur), e il professor Francesco Nicotra del Dipartimento di biotecnologie e bioscienze dello stesso ateneo coordinano un progetto europeo «Nabba» (vedi il video su YouTube), acronimo di NAnomedicines to overcome Biological BArriers, dedicato proprio alla realizzazione di nanoparticelle.

@nicla_panciera


Alcuni diritti riservati.

vai all'articolo originale