La qualità della dieta ha un impatto - protettivo o meno, a seconda di ciò che si mangia più di frequente - sulla salute cardiovascolare. Non dovrebbero stupire, dunque, le conclusioni di uno studio presentato nel corso dell’ultimo congresso della società di cardiologia dell’Australia e della Nuova Zelanda. Maggiore è il numero di fast food presente in un’area, più alto è il numero di eventi acuti cardiaci che si registrano. Nello specifico, per ogni nuovo punto vendita di cibo «spazzatura» che apre, si registra un incremento degli episodi quantificabile in quattro ogni centomila persone.
Cuore a rischio con troppi fast food nei paraggi
Lo studio retrospettivo è stato condotto incrociando le informazioni relative agli oltre tremila ricoveri registrati negli ospedali della Hunter Valley tra il 2011 e il 2013 e le caratteristiche delle aree di provenienza di questi pazienti. In questo modo è stato possibile stimare la densità di fast food presenti nelle diverse zone. Da qui la conclusione che la maggiore frequentazione di questi locali possa determinare un aumento dell’incidenza di episodi acuti cardiovascolari. Un risultato che dimostra quanto sia importante il fattore ambientale nell’insorgenza dell’obesità, in una simile analisi conditio sine qua non per l’insorgenza delle complicanze cardiovascolari.
«Le cardiopatie ischemiche, incluso l’infarto del miocardio, rappresentano una delle principali cause di morte nel mondo - afferma Tarunpreet Saluja, ricercatore dell'Università di Newcastle e autore della ricerca -. È noto che il consumo di cibo di scarsa qualità è associato a una maggiore insorgenza di questi episodi. I nostri risultati sono coerenti con quelli osservati in altri Paesi e richiamano l’attenzione sulla necessità di valutare la qualità del cibo che consumiamo più volte al giorno».
Quanto incidono le condizioni sociali?
Il documento, secondo Tom Marwick, cardiologo della Cleveland Clinic e presidente del comitato scientifico del congresso, «documenta l'associazione tra fast food ed eventi cardiaci, indipendentemente da altri fattori di rischio: quali l’età, il fumo di sigaretta, l’ipertensione, l’obesità e il diabete».
Quello che rimane da capire è se questa associazione è indipendente dai determinanti sociali della malattia, poiché la presenza dei fast food risulta spesso più elevata nelle aree maggiormente svantaggiate. L’invito alle autorità è quello di «non sottovalutare queste evidenze, che rimarcano il ruolo che le scelte politiche possono avere per contenere l’impatto delle malattie cardiovascolari».
Piuttosto che aumentare la diffusione di questi locali, secondo Jeroen Bax, cardiologo dell’Università di Leiden ed ex numero uno della Società Europea di Cardiologia, occorrerebbe «incentivare l’ingresso in supermercati e altri punti vendita con alimenti più sani».
Twitter @fabioditodaro