I dati relativi all’indagine di sieroprevalenza hanno svelato che l’infezione da Sars-CoV-2 è stata negli scorsi mesi più diffusa di quanto non dicessero i numeri ufficiali. Questa informazione ha contribuito a ridurre il tasso di letalità del Covid-19. Al di là del decorso acuto, però, la malattia provocata dal nuovo coronavirus può lasciare il segno anche a livello psichiatrico. Tra coloro che ne sono reduci, infatti, le probabilità di sviluppare insonnia, ansia, depressione e disturbo post-traumatico da stress sembrano essere più elevate rispetto a quelle rilevabili nel resto della popolazione. A documentare l’aumento dei casi è uno studio condotto dai ricercatori dell’ospedale San Raffaele di Milano, pubblicato sulla rivista scientifica «Brain, Behavior and Immunity».
L’infiammazione può aprire la strada alla depressione
Lo studio è stato condotto su 402 pazienti nell’ambito dell’ambulatorio di follow-up post Covid-19 che il San Raffaele ha attivato a partire da maggio. Si tratta di un percorso di controlli di circa sei mesi per i malati dimessi dalla struttura, che prevede visite con équipe multidisciplinari composte da medici internisti, infettivologi, neurologi, psichiatri, nefrologi e cardiologi. «È apparso chiaro da subito che l’infiammazione causata dalla malattia potesse avere ripercussioni anche a livello psichiatrico - afferma Francesco Benedetti, psichiatra e coordinatore dell’unità di ricerca in psichiatria e psicobiologia clinica -. Gli stati infiammatori, anche in conseguenza a infezioni virali, possono costituire dei fattori di rischio per diverse patologie, in particolare la depressione».
Disturbi psichiatrici per oltre 1 paziente su 2
Sulla base di interviste cliniche e questionari di auto-valutazione, i ricercatori hanno esaminato i sintomi psichiatrici di 402 pazienti (265 uomini e 137 donne) colpiti dal Covid-19 a un mese dalla conclusione delle cure. Di questi, circa 300 erano stati ricoverati presso il San Raffaele e 100 erano stati seguiti al proprio domicilio. Ansia e insonnia sono state le condizioni rilevate con maggior frequenza: rispettivamente nel 42 per cento e nel 40 per cento dei pazienti intervistati. A seguire la depressione (31 per cento), il disturbo post-traumatico da stress (28 per cento) e una sintomatologia ossessivo-compulsiva (20 per cento). Nel complesso, secondo gli autori del lavoro, «il 56 per cento delle persone ha manifestato almeno uno di questi disturbi, proporzionalmente alla gravità dell’infiammazione durante la malattia».
Inoltre, nei pazienti ricoverati in ospedale, sono state riscontrate ripercussioni dal punto di vista psichiatrico meno gravi rispetto ai pazienti ambulatoriali. Da qui, il ruolo e l’importanza del supporto sanitario nel diminuire l’isolamento sociale e la solitudine tipiche della pandemia. In generale, infatti, le conseguenze psichiatriche da Covid-19 possono essere causate sia dalla risposta immunitaria al virus stesso, sia da fattori di stress psicologico come l’isolamento sociale, la preoccupazione di infettare gli altri e lo stigma.
Più a rischio le donne
I pazienti con una precedente diagnosi psichiatrica sono peggiorati e, tra chi non ne era mai stato affetto, in particolare sono le donne ad aver sofferto di più per l’ansia e la depressione, nonostante la minore gravità dell’infezione. «Questo conferma quello che già sapevamo, ossia la maggior predisposizione della donna a poter sviluppare disturbi della sfera ansioso-depressiva, e ci conduce a ipotizzare che questa maggiore vulnerabilità possa essere dovuta anche al diverso funzionamento del sistema immunitario nelle sue componenti innate ed adattive», aggiunge Benedetti. «Il prossimo obiettivo è approfondire la ricerca sui marcatori dell’infiammazione per diagnosticare condizioni emergenti e monitorarle nel tempo».
Twitter @fabioditodaro
I dati relativi all’indagine di sieroprevalenza hanno svelato che l’infezione da Sars-CoV-2 è stata negli scorsi mesi più diffusa di quanto non dicessero i numeri ufficiali. Questa informazione ha contribuito a ridurre il tasso di letalità del Covid-19. Al di là del decorso acuto, però, la malattia provocata dal nuovo coronavirus può lasciare il segno anche a livello psichiatrico. Tra coloro che ne sono reduci, infatti, le probabilità di sviluppare insonnia, ansia, depressione e disturbo post-traumatico da stress sembrano essere più elevate rispetto a quelle rilevabili nel resto della popolazione. A documentare l’aumento dei casi è uno studio condotto dai ricercatori dell’ospedale San Raffaele di Milano, pubblicato sulla rivista scientifica «Brain, Behavior and Immunity».
L’infiammazione può aprire la strada alla depressione
Lo studio è stato condotto su 402 pazienti nell’ambito dell’ambulatorio di follow-up post Covid-19 che il San Raffaele ha attivato a partire da maggio. Si tratta di un percorso di controlli di circa sei mesi per i malati dimessi dalla struttura, che prevede visite con équipe multidisciplinari composte da medici internisti, infettivologi, neurologi, psichiatri, nefrologi e cardiologi. «È apparso chiaro da subito che l’infiammazione causata dalla malattia potesse avere ripercussioni anche a livello psichiatrico - afferma Francesco Benedetti, psichiatra e coordinatore dell’unità di ricerca in psichiatria e psicobiologia clinica -. Gli stati infiammatori, anche in conseguenza a infezioni virali, possono costituire dei fattori di rischio per diverse patologie, in particolare la depressione».
Disturbi psichiatrici per oltre 1 paziente su 2
Sulla base di interviste cliniche e questionari di auto-valutazione, i ricercatori hanno esaminato i sintomi psichiatrici di 402 pazienti (265 uomini e 137 donne) colpiti dal Covid-19 a un mese dalla conclusione delle cure. Di questi, circa 300 erano stati ricoverati presso il San Raffaele e 100 erano stati seguiti al proprio domicilio. Ansia e insonnia sono state le condizioni rilevate con maggior frequenza: rispettivamente nel 42 per cento e nel 40 per cento dei pazienti intervistati. A seguire la depressione (31 per cento), il disturbo post-traumatico da stress (28 per cento) e una sintomatologia ossessivo-compulsiva (20 per cento). Nel complesso, secondo gli autori del lavoro, «il 56 per cento delle persone ha manifestato almeno uno di questi disturbi, proporzionalmente alla gravità dell’infiammazione durante la malattia».
Inoltre, nei pazienti ricoverati in ospedale, sono state riscontrate ripercussioni dal punto di vista psichiatrico meno gravi rispetto ai pazienti ambulatoriali. Da qui, il ruolo e l’importanza del supporto sanitario nel diminuire l’isolamento sociale e la solitudine tipiche della pandemia. In generale, infatti, le conseguenze psichiatriche da Covid-19 possono essere causate sia dalla risposta immunitaria al virus stesso, sia da fattori di stress psicologico come l’isolamento sociale, la preoccupazione di infettare gli altri e lo stigma.
Più a rischio le donne
I pazienti con una precedente diagnosi psichiatrica sono peggiorati e, tra chi non ne era mai stato affetto, in particolare sono le donne ad aver sofferto di più per l’ansia e la depressione, nonostante la minore gravità dell’infezione. «Questo conferma quello che già sapevamo, ossia la maggior predisposizione della donna a poter sviluppare disturbi della sfera ansioso-depressiva, e ci conduce a ipotizzare che questa maggiore vulnerabilità possa essere dovuta anche al diverso funzionamento del sistema immunitario nelle sue componenti innate ed adattive», aggiunge Benedetti. «Il prossimo obiettivo è approfondire la ricerca sui marcatori dell’infiammazione per diagnosticare condizioni emergenti e monitorarle nel tempo».
Twitter @fabioditodaro