L’argomento è motivo di discussione tra amici che, a parità di stress, reagiscono diversamente, una volta posti sulla bilancia: da una parte c’è chi aumenta di peso, dall’altra chi mangia regolarmente e vede invece il proprio girovita restringersi.

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I secondi magari penseranno di essere nati con una grande fortuna. Ma vivere in condizioni di forte stress, mangiare regolarmente e non prendere nemmeno un chilo, o addirittura perderne, non è detto che sia favorevole. La maggiore produzione di radicali liberi che si registra in ogni individuo in queste condizioni potrebbe causare comunque dei danni alla salute, poiché rende l’organismo più vulnerabile ad agenti patogeni esterni o interni. Questo perché, è noto da tempo, lo stress riduce la risposta immunitaria acquisita, che costituisce una barriera fisica e chimica all’invasione degli agenti patogeni esterni con cui l’organismo è già entrato in contatto almeno una volta.

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L’importanza per la salute di tali alterazioni immunitarie associate allo stress è stata dimostrata in studi che hanno rivelato una correlazione tra stress cronico e aumento della vulnerabilità al comune raffreddore, ridotta risposta anticorpale alle vaccinazioni, ritardata guarigione delle ferite e comparsa di herpes zoster.

Perdere peso pur mangiando di più

A queste conclusioni è giunto un gruppo di ricercatori italiani (Università del Salento, Sapienza di Roma e Cnr) che, in uno studio pubblicato sul «Faseb Journal», ha indagato gli effetti della cosiddetta «sconfitta psicosociale»: ossia «un’articolata e composita forma di stress in cui coesistono sfide e allarmi con difficoltà e conflitti soggettivi e interpersonali», spiega Anna Maria Giudetti, ricercatrice di biochimica del dipartimento di scienze e tecnologie biologiche e ambientali dell’Università del Salento (Lecce).

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«Si tratta di un’esperienza condivisa da tanti, che ha tra le conseguenze più evidenti i cambiamenti del peso corporeo, del metabolismo e delle abitudini alimentari - prosegue la scienziata, prima firma della pubblicazione -. Con questo studio abbiamo chiarito alcuni fondamentali meccanismi alla base del fenomeno per il quale si può perdere peso pur consumando una maggiore quantità di cibo».

Simulando in laboratorio una condizione di sconfitta psicosociale, gli autori dello studio hanno potuto verificare (su modello animale) che, sotto stress, gli individui subordinati ingeriscono più cibi, scegliendoli tra i più ricchi di grassi. Al contempo, però, riducono il consumo totale di pietanze non gratificanti. Risultato? Una quasi «paradossale» perdita di peso.

Un fenomeno soltanto apparentemente positivo

Si sa da tempo che lo stress cronico può alterare le abitudini alimentari e portare una persona a consumare cibi ad alto contenuto energetico, come forma di «ricompensa». Questa attitudine dovrebbe tradursi sempre in un aumento di peso in condizioni di stress. Ed è quello che in effetti accade in molti casi, ma non in tutti.

Su questa «nicchia» si sono concentrati i ricercatori, per cercare di capire come mai in realtà non tutte le persone sotto stress aumentino di peso. La sconfitta psicosociale comporta una riduzione degli enzimi responsabili della produzione e dell’accumulo di grasso corporeo. Contemporaneamente, nel fegato aumentano i livelli di un enzima fondamentale per bruciare i grassi.

Lo stress psicosociale produce inoltre un aumento di particolari proteine contenute nel tessuto adiposo (di tipo bruno), capaci di aumentare le calorie consumate. Tutto ciò è alla base della risposta che spesso si sente dare da chi, soltanto in apparenza, risulta più fortunato rispetto ad altri: «Posso mangiare quanto voglio, tanto non ingrasso».

Un fenomeno che non è però sempre positivo. «Abbiamo verificato che l’aumentato metabolismo dei grassi comporta un maggiore livello di stress ossidativo, probabilmente legato alla maggiore produzione di radicali liberi - prosegue Giudetti -. Questa condizione, riscontrata a livello epatico, potrebbe a sua volta causare notevoli danni alla salute, poiché rende l’organismo più sensibile ad agenti patogeni esterni o interni».

Twitter @fabioditodaro

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