Il termine radiologo deriva dalla parola “raggi”, ma oggi sempre più le metodiche cui ricorre questo specialista coinvolgono apparecchiature che non usano radiazioni ionizzati, si pensi all’ecografia o alla risonanza magnetica. Con queste tecnologie sempre più sofisticate il radiologo vede la patologia scrutando dentro il corpo.

Il giorno 8 novembre, data in cui nel 1895 Wilhelm Conrad Rontgen scoprì i raggi X, si è celebrata la Giornata Internazionale di Radiologia (IDOR). In occasione della Giornata, si è svolto a Milano un congresso organizzato dai radiologi medici italiani dedicato alla disciplina e alla figura di questo specialista che «ha un ruolo cruciale nella diagnosi e nella prognosi di molte condizioni traumatiche, dove la tempestività può fare la differenza tra la vita e la morte o l’invalidità, anche se molto spesso nella percezione dell’utente il radiologo sparisce o diventa un semplice esecutore di esami» ci ha spiegato Carmelo Privitera, Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Radiologia dell’Ospedale Vittorio Emanuele di Catania e presidente della SIRM Società italiana di radiologia medica e Interventistica (SIRM).

È, infatti, molto diffusa l’idea che l’indagine radiologica restituisca delle immagini che chiunque, altri specialisti o medici di base, potrà poi utilizzare. Non è così. Queste immagini non sono fotografie, sono molto complesse, vanno elaborate e inserite nel contesto clinico del paziente. Richiedono una capacità interpretativa. A questo si aggiunga che non solo il radiologo è il responsabile dell’esame che esegue, ma il referto che produce è un atto clinico di diagnosi e di inquadramento patologico, che in un mondo ideale andrebbe condotto in sinergia con altri specialisti, adottando un approccio multidisciplinare.

Anche per questa ragione, ne è convinto Carmelo Privitera, «ben venga il supporto da parte della macchine e degli algoritmi per “leggere” le immagini sempre più complesse, ma la decisione finale non potrà mai essere presa da un’intelligenza artificiale che guarda alle sole immagini». Da questo, deriva la necessità di una specializzazione sempre maggiore: «Oggi, un radiologo tout court non può più esistere, ma a seconda dei centri e delle strutture in cui opera, ci deve essere lo specialista interventista, quello con competenze oncologiche, neurologiche e così via»·

«Nel nostro paese, si eseguono 100 milioni di prestazioni radiologiche l’anno – ha detto Carmelo Privitera, Direttore Unità Operativa Complessa di Radiologia dell’Ospedale Vittorio Emanuele di Catania e presidente della SIRM Società italiana di radiologia medica e Interventistica (SIRM) – Le indagini da eseguire devono essere solamente quelle necessarie, che seguano il principio dell’appropriatezza e che tengano conto del costo e della dose di radiazioni cui esponiamo i pazienti».

La radioesposizione è un tema molto attuale. Infatti, l’obbligo di indicare esattamente la radiazione per ogni esame diagnostico eseguito è previsto dalla direttiva Euratom 2013/59 che stabilisce le norme fondamentali di sicurezza relative alla protezione contro i pericoli derivanti dall’esposizione alle radiazioni ionizzanti e che andrà recepita entro il 6 febbraio 2018. «La sua entrata in vigore nel nostro paese – spiega Carmelo Privitera – accenderà i riflettori sulla vetustà delle apparecchiature, pur con una grande disomogeneità territoriale». Questo non significa doversi dotare di macchine molto performanti, perché dipende dalla patologia da indagare.

Al centro del convegno, anche la figura del radiologo interventista. «Se una volta l’esame radiologico era a supporto di una diagnosi già posta, oggi è strategico per la diagnosi e per la prognosi. La radiologia è strategica e gli esami di secondo livello, come TAC e risonanza, possono arrivare a dimezzare la mortalità nelle emergenze, che sono la terza causa di morte dopo i tumori e le malattie cardiovascolari e sono la prima causa di morte nei soggetti di età compresa tra 25 e 44 anni».

Il trauma, inoltre, è la prima causa di morte nell’età pediatrica; oltre ai traumi legati all’attività sportiva o agli incidenti negli ambienti chiusi, i più piccoli sono vittime di investimenti stradali e scontri automobilistici e le lesioni sono del tutto simili a quelle che si osservano nell’adulto, nel corpo e all’encefalo, dove il danno è causato dal suo impatto sul cranio e dallo stress meccanico impresso ai tessuti dal loro rapido spostamento (colpo e contraccolpo).

Nel nostro paese, ci sono 24 milioni di accessi all’anno al pronto soccorso, questo significa che un terzo della popolazione vi accede in un anno, e 1.609.287 sono gli accessi ai Pronto Soccorso pediatrico. In media ogni paziente che accede al PS esegue 1,1 prestazioni di diagnostica per immagini. I dati evidenziano un aumento progressivo delle prestazioni radiologiche (+31%). Impressionante l’aumento della Tomografia Computerizzata: + 107% negli ultimi 7 anni. Ma anche si registra un + 378% nei Pronto Soccorso pediatrici per quanto riguarda l’ecografia, preferita rispetto alla TAC per evitare la radioesposizione dei piccoli pazienti.

La gestione del paziente traumatizzato da parte del sistema di Emergenza Sanitaria in PS ha fatto passi da gigante, tuttavia, ancor oggi c’è una percentuale importante di pazienti che, per ritardo o inappropriatezza delle cure, possono avere conseguenze fatali per traumi potenzialmente non mortali: si tratta delle cosiddette “morti evitabili”. Attraverso tempestività nella diagnosi, multidisciplinarietà e correttezza delle decisioni, in cui il tempo è sempre cruciale, risoluzione delle problematiche strutturali, tecnologiche e organizzative che ancora affliggono alcune aree del nostro complesso territorio, molto complesso.

@nicla_panciera


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