Saranno pure malati immaginari, ma ciò che causa la loro ipocondria ha origini biologiche ben definite. Chi vive sempre avvilito, convinto che un’insidia per il proprio stato di salute sia proprio dietro l’angolo, non ha una corretta percezione del proprio corpo né una sua piena consapevolezza.
Così il male temuto, che in Italia arriva a determinare una spesa annua pari a quattro miliardi , nasce proprio all’interno della testa e risponde a un meccanismo fisiologico oggi semplice da identificare, ma allo stesso tempo non altrettanto facilmente aggirabile. È questa la scoperta a cui è giunto un gruppo di ricercatori dell’Università «Luigi Vanvitelli» (l’ex Seconda Università di Napoli), coordinato da Dario Grossi, ordinario di neuropsicologia.
GLI IPOCONDRIACI SONO TROPPO CONCENTRATI SU LORO STESSI
Lo studio, pubblicato sulla rivista «Cortex», ha dimostrato l’esistenza di un’alterazione della connettività funzionale tra strutture cerebrali impegnate nella rappresentazione del corpo. In particolare l’alterazione riguarda lo scambio di informazioni tra due aree del cervello. Una contribuisce al riconoscimento visivo delle parti corporee e a distinguere se queste sono le proprie oppure no, l’altra è la principale struttura cerebrale che integra le informazioni motorie e sensoriali somatiche.
Nei soggetti normali queste due aree sono funzionalmente connesse in maniera molto consistente e lavorano proprio per consentire l’integrazione della coscienza corporea, con una piena coscienza di sé e del proprio corpo. Negli ipocondriaci, è quanto hanno riscontrato dai ricercatori, ci sarebbe invece un’«asincronia» nel funzionamento delle connessioni tra le due aree.
«Sembra un paradosso, ma gli ipocondriaci sono eccessivamente concentrati sul proprio corpo, hanno un’amplificata percezione delle informazioni che provengono dagli organi cavi (enterocezione, ndr) e una ridotta funzionalità nelle reti neurali che consentono la consapevolezza corporea - spiega Grossi -. Non è dunque da escludere che siano proprio queste discordanti elaborazioni cerebrali a costruire la percezione di una malattia immaginaria».
Lo studio di queste connessioni funzionali è stato possibile utilizzando una speciale applicazione della risonanza magnetica, eseguita con i pazienti è in condizione di riposo. Alla ricerca hanno partecipato 22 pazienti ipocondriaci, le cui immagini cerebrali sono state comparate con quelle tratte da 14 persone sane.
Dario Grossi e Luigi Trojano, docente di psicologia fisiologica dello stesso dipartimento, hanno da qui elaborato un modello teorico delle basi neurofunzionali della regolazione delle emozioni e della enterocezione e si sono proposti di applicarlo ai pazienti ipocondriaci. R
Risultato? La conferma che il cervello dei malati immaginari non funziona come gli altri. Dietro alle ansie, al timore di ammalarsi e alla convinzione di avere sempre qualcosa, c’è un meccanismo fisiologico che oggi appare sensibilmente più chiaro. I malati immaginari non sono pazzi, come li si intendeva ai tempi di Moliere. D’ora in avanti non si potrà più pensare a loro come a dei pazienti di secondo piano. La morbosa attenzione al proprio corpo è una malattia, che in taluni casi può richiedere anche il ricorso allo specialista (psichiatra).
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