Giunti al terzo appuntamento dedicato alle strategie mentali per la sopravvivenza, proponiamo le storie di alcuni personaggi-simbolo, militari, esploratori, sportivi, persino galeotti le cui straordinarie vicende sono legate da un minimo comune denominatore che consentì loro di portare a casa la pelle: una veloce capacità di adattamento.
Il barone Amedeo Guillet
Il Comandante Diavolo
Partiamo da un eroe italiano, il barone Amedeo Guillet (1909) di famiglia piemontese, di cui ogni singolo episodio della sua lunga vita, lascia decisamente sbalorditi. Fu tra i primi ufficiali di Cavalleria ad adottare il rivoluzionario metodo equestre di Caprilli, (cui peraltro oggi è dedicato il recente libro di Carlo Cadorna, «Equitazione naturale moderna» ed. Farsiunlibro).
Dal 1935 in poi, Guillet si occupa praticamente solo di sopravvivere: dalla campagna d'Abissinia, nel deserto, alla prigionia in Africa. Scappa e viene depredato e buttato in acqua nel mar Rosso, notoriamente infestato di squali. Si salva miracolosamente dopo aver condotto operazioni militari al limite (come attaccare dei carri armati a cavallo); si mimetizza più volte tra gli indigeni imparando usi, costumi e lingua; incassa una taglia messa sulla sua testa travestendosi e fornendo indicazioni accurate su se stesso al nemico; scampa a due incidenti aerei nello stesso giorno; sfugge a diversi attentati.
Gli inglesi volevano catturarlo a tutti i costi, ma lo guardavano con estrema ammirazione; i suoi combattenti lo avevano soprannominato «Comandante Diavolo» e lo ritenevano niente di meno che immortale.
Survival: le poche regole da seguire per sopravvivere alle difficoltà non solo fisicamente, ma soprattutto mentalmente
ANDREA CIONCICome scrive Fabrizio Nannini in «Mental survival» (Hoepli), Guillet è un esempio di come la determinazione e la lotta per uno scopo, la disciplina, la completa e camaleontica adattabilità alle differenti situazioni, la resilienza da manuale e un'incredibile intelligenza sociale, possano permettere ad un uomo di sopravvivere a tutto. Paragonato alla figura del vero Lawrence D’Arabia - e non quella proposta dal cinema, il nostro si è dimostrato enormemente più grande ed autentico.
Visse fino a 101 anni, sorridente, gentile e disponibile fino all’ultima intervista, si diceva felice di essere l’uomo più fortunato del mondo, essendosi salvato in tantissime circostanze. La sua straordinaria biografia è stata ricostruita da Vittorio Dan Segre in «La guerra privata del tenente Guillet» (Corbaccio). A lui e ai suoi cimeli è dedicata un’intera sala nell’imperdibile Museo della Cavalleria di Pinerolo, il più grande del suo genere in Europa, le cui collezioni possono catalizzare l’interesse degli appassionati di storia, sport, modellismo, tecnologia, armi, collezionismo, animali, cultura militare.
Sangue di pipistrelli
Ancora una sfida desertica, quella che vide protagonista, nel 1994, durante la Marathon des Sables, il maratoneta Italiano Mauro Prosperi, allora 39enne.
Sopravvivenza fisica e mentale: l’ottimismo non serve, ci vogliono decisioni fredde e neutrali
andrea cionciDurante questa ultramaratona che si svolge ogni anno nel deserto del Nord Africa, a seguito di una forte tempesta di sabbia, Prosperi perde l’orientamento e, dopo circa 36 ore, finisce le scorte idriche. Camminando in direzione delle nuvole del mattino, come suggeritogli tempo prima da un Tuareg, dopo 9 giorni, avendo percorso 299 km fuori rotta, incontra per fortuna dei pastori che lo soccorrono, ormai fortemente disidratato e con 15 kg di peso in meno. Il maratoneta si è salvato tramite espedienti veramente al limite, come bere la propria urina e il sangue di pipistrelli catturati, oppure cibarsi di topi e serpenti trovati lungo il percorso. Fra le tecniche mentali usate, l’empatia con l’ambiente, la comunione totale con la natura, che da ostile può diventare ospitale.
Hiroo Onoda, soldato giapponese classe 1922 discendente da una dinastia di Samurai
L’ultimo giapponese
Se esistesse un limite tra la resilienza e la caparbietà più ostinata, di certo il noto Hiroo Onoda, soldato giapponese classe 1922 discendente da una dinastia di Samurai, lo avrebbe superato, e non di poco. Nel 1944 venne dislocato assieme a tre commilitoni, nell’isola filippina di Lubang, dove gli fu ordinato di presidiare l’isola, cosa che continuò a fare anche molto tempo dopo la fine della guerra. Non lo aveva persuaso nemmeno il lancio di volantini, rimanendo convinto che si trattasse di propaganda nemica. Uno dei suoi compagni se ne andò, due furono uccisi, ma lui non si rassegnò nemmeno quando glielo comunicarono direttamente in varie occasioni più persone, da agenti di polizia a turisti. Era ormai diventato quasi una leggenda vivente. Solo quando venne scomodato un suo vecchio superiore (30 anni dopo) realizzò che la guerra era finita davvero. Era sopravvissuto quindi, da solo, per anni nella giungla, assolvendo quotidianamente ai compiti militari che gli erano stati assegnati, organizzando la sua sussistenza e la sua permanenza nascosta a tutti, in una sperduta isola del pacifico.
Lo scalatore Aron Ralston
Il crepaccio
A mali estremi, estremi rimedi: è la storia dello scalatore Aron Ralston, il quale nel 2003, a 27 anni, durante un’escursione in solitaria in un ambiente difficile ma che conosceva bene, rimase intrappolato con una mano bloccata da una roccia in un crepaccio isolato. Per cinque giorni tenterà con ogni mezzo di liberarsi, ma alla fine deciderà di auto-amputarsi metà avambraccio destro con un coltellino spuntato. Una volta tagliati i fasci muscolati si accorge di non riuscire a segare l’osso, decide così di spezzarlo facendo leva contro la roccia. Incredibilmente, subito dopo la cruenta operazione, Ralston disse di aver provato un’immensa euforia. Una volta uscito dal crepaccio, percorrerà 12 km a piedi prima di essere raccolto da una famiglia di turisti olandesi, ed entrerà in ospedale camminando sulle sue gambe.
Il volo della farfalla
Tutti ricordano il celebre film «Papillon», interpretato da Steve McQueen e tratto dal romanzo autobiografico dell’impenitente galeotto francese Henri Charrière, detto Papillon (farfalla) per un tatuaggio che aveva sul petto. Sebbene, per stessa ammissione dell’autore, vi potrebbe essere un certo margine di fantasia nella narrazione, di certo Charriere rappresenta un personaggio indomito che non si rassegna al suo destino, la detenzione ai lavori forzati presso il durissimo carcere coloniale della Cajenna. Fa tutto quello che è in suo potere per sfuggirne: ad ogni tentativo di evasione viene torturato e messo in cella di isolamento per periodi lunghissimi. Tuttavia, ogni sconfitta gli consente di tornare alla carica più forte di prima evitando di ripetere gli stessi errori. Nell’ultimo e più proficuo dei tantissimi tentativi di evasione finiti miseramente, fugge dalla famosa e inaccessibile prigione dell’isola del Diavolo su una zattera fatta da noci di cocco tenute insieme da una rete. Per farlo, si lancia da una scogliera, calcolando il ritmo preciso delle onde sottostanti.