Nuove incoraggianti conferme riguardano la possibilità di ricorrere alla terapia genica per curare la beta talassemia. In un futuro non molto lontano, la condizione, che in Italia conta oltre settemila pazienti (soprattutto al Sud e nelle Isole) e che può essere soltanto tenuta sotto controllo attraverso le trasfusioni di sangue o il trapianto di midollo osseo, potrebbe trovare una risposta nella possibilità di «tagliare» e «cucire» il Dna per rimuovere il difetto genetico alla base di una malattia. In questo modo, intervenendo su bambini e adolescenti, si potrebbe avere una strategia di cura efficace e soprattutto risolutiva (opportunità che le trasfusioni non offrono), in grado di preservare la qualità di vita dei pazienti.

Terapia genica per la beta talassemia

A confermare l’ipotesi è l’esito del primo trial clinico di terapia genica per la beta talassemia realizzato sia in pazienti adulti sia pediatrici, i cui risultati sono stati pubblicati oggi sulla rivista «Nature Medicine».

Nello studio italiano, firmato da un pool di ricercatori del San Raffaele di Milano (col sostegno di Fondazione Telethon), sono stati coinvolti nove soggetti di diversa età (tre adulti, tra adolescenti e tre bambini) affetti da forme di beta talassemia gravi: che come tali richiedevano il ricorso a frequenti trasfusioni. Su di loro, i ricercatori hanno utilizzato una tecnica di terapia genica simile a quella già impiegata per altre malattie rare del sangue: come ADA-SCID (il cui trattamento è diventato il primo farmaco salva-vita di terapia genica approvato al mondo), leucodistrofia metacromatica e sindrome di Wiskott-Aldrich .

Hanno cioè provveduto a raccogliere le cellule staminali dal sangue periferico, per poi inserire al loro interno una copia funzionante del gene della beta-globina (quello difettoso nelle persone malate), utilizzando come vettore un virus della stessa famiglia dell’Hiv, svuotato del suo contenuto infettivo e trasformato in un «mezzo di trasporto» per la terapia. In seguito, le cellule staminali «corrette» sono state re-infuse nei pazienti direttamente nelle ossa, così da favorire il loro attecchimento nel midollo.

Maggiori benefici se si interviene in giovane età

A distanza di oltre un anno dalla fine del trattamento (i soggetti adulti sono stati trattati per primi, ormai quasi tre anni fa), la terapia è risultata sicura ed efficace. In tre dei quattro pazienti più giovani si è raggiunta la totale indipendenza dalle trasfusioni di sangue, mentre nei pazienti adulti si è ottenuta una significativa riduzione della loro frequenza.

Soltanto uno dei bambini trattati non ha riportato effetti positivi sul decorso della malattia (i ricercatori stanno ora cercando di capirne il motivo). «I risultati raccolti finora dimostrano la sicurezza e la maggiore efficacia della terapia genica in questo contesto - spiega Giuliana Ferrari, a capo dell’unità di ricerca sul trasferimento genico nelle cellule staminali dell’Istituto San Raffaele Telethon per la terapia genica (SR-Tiget) -. Dal momento che la malattia compromette in modo progressivo l’integrità del midollo osseo, intervenire in giovane età permette di ottenere risultati migliori».

Oltre al fattore età, un altro elemento chiave è emerso dall’efficienza del «trasferimento genico»: ovvero la capacità dei vettori virali di inserire con successo nelle cellule dei pazienti il gene terapeutico. «In malattie complesse come la beta talassemia può giocare un ruolo importante, ecco perché la messa a punto di protocolli innovativi, capaci di massimizzare l’efficacia dei vettori, è una delle nostre priorità», conclude l’esperta.

Ancora qualche anno per un’eventuale nuova cura

La beta talassemia, o anemia mediterranea, è una malattia genetica che impedisce di produrre una componente chiave dell’emoglobina, la proteina dei globuli rossi che trasporta l’ossigeno nel sangue, che nelle forme più gravi costringe ogni mese ad affrontare trasfusioni di sangue e trattamenti per rimuovere il ferro che si accumula nell’organismo. Lo studio italiano aggiunge un tassello di conoscenza in più a un filone di ricerca - nell’arco di pochi anni potrebbe diventare una realtà diffusa, in ambito terapeutico - che ha già dato alcuni risultati incoraggianti. La novità, in questo caso, è data dal coinvolgimento anche di pazienti in età pediatrica. Un altro riscontro positivo era emerso durante la scorsa primavera, da un lavoro pubblicato sul «New England Journal of Medicine» che aveva visto il coinvolgimento di 22 adulti (statunitensi, francesi, australiani e tailandesi). Anche in quel caso il ricorso alla terapia genica aveva permesso loro di evitare il frequente ricorso alle trasfusioni di sangue.

Twitter @fabioditodaro

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