La buona notizia è che nel nostro paese aumentano i trapianti e le donazioni, anche da donatore vivente. Sono i dati di proiezione di ottobre 2016 del Centro Nazionale Trapianti che confermano l’Italia ai primi posti in Europa. I trapianti eseguiti sono stati 3.268 (erano 3.002 del 2015) e 1260 i donatori (1.165 del 2015). Dal 2002 sono stati 35mila i trapiantati e oggi la popolazione vivente dei trapiantati in Italia è di 35-40mila: un risultato ottenuto grazie alla capacità dei professionisti, all’efficienza della rete e al senso di responsabilità dei cittadini. Perché senza organo non c’è trapianto.

Il modello operativo sul quale si basano gli interventi

La riorganizzazione messa in atto dal Centro Nazionale Trapianti e la nascita, nel novembre del 2013, del Centro Nazionale Trapianti Operativo (CNTO) ha permesso di ottenere grandi risultati in termini di offerta di organi e di interventi, grazie ad un’azione efficiente e coordinata. Un modello operativo studiato anche all’estero. «Siamo attivi ormai in tempo reale, lungo l’arco delle 24 ore, e riceviamo dalle Regioni le segnalazioni di tutti i donatori d’organo, esaminandone idoneità e rischio di trasmissione di malattie» ha spiegato il dottor Nanni Costa, direttore generale del CNT.

Dalla segnalazione di tutti i potenziali donatori (2400 all’anno, quindi in media 6 telefonate al giorno al Centro Operativo), all’assegnazione dell’organo fino al prelievo (1700 all’anno) e al trapianto, tutto viene coordinato in tempo reale e il Centro Operativo monitora anche i trasporti di organi, equipe e pazienti e valuta l’idoneità di tutti i donatori problematici per condizioni per rischio infettivo, per rischio di neoplasia o per problemi di carattere medico legale utilizzando esperti della rete in h24 (second opinion nazionali).

In aumento le donazioni da vivente

Oltre ai trapianti da donatore deceduto, a cuore non battente o in morte cerebrale, esistono quelli da vivente, che sono ormai una tradizione in Europa mentre da noi i numeri sono ancora bassi. Per questo il centro Nazionale Trapianti ha dedicato ai trapianti da vivente particolare attenzione, portando il numero complessivo di donazioni a 1489 nel 2015, in aumento rispetto agli anni precedenti (20,4% rispetto al 2014). In particolare quelle di rene (da vivente) hanno raggiunto un vero e proprio record, superando per la prima volta la soglia dei 300 prelievi (+56,8% rispetto al 2012). A sfatare il mito della pericolosità di queste donazioni da vivente ci pensano i dati sulla salute del donatore, sottoposto a controlli continui. A breve verranno, inoltre, resi noti i dati relativi alle due catene di trapianti incrociati di rene messe in atto da donazione da vivente samaritana.

Quando si ricorre al trapianto

«Perché cura una malattia terminale dell’organo non altrimenti curabile» spiega il dottor Andrea De Gasperi, direttore della struttura complessa di Anestesia e rianimazione 2 del Niguarda e Direttore del Dipartimento Niguarda Transplant Center, secondo il quale però sbaglierebbe chi pensa che un trapianto è come la sostituzione di una batteria, perché è un intervento che coinvolge l’organo nuovo e l’intero organismo ricevente. Gli altri standard di qualità e sicurezza nel nostro paese rendono possibile restituire la vita a un numero sempre maggiore di persone. «Operiamo con organi non giovani, i donatori over 70 sono il 30% e le donazioni per traumi sono la minoranza, quindi gli organi possono essere malati e verranno curati dopo il trapianto» spiega Giuseppe Piccolo, Coordinatore Regionale Trapianti della Lombardia che denuncia come nonostante questi avanzamenti ancora non tutte le strutture ospedaliere attivino la macchina trapiantologica. «Quella della donazione deve diventare una faccenda dell’intero ospedale – spiega - un’attività sanitaria di cui sono responsabili le direzioni degli ospedali».

La vita dopo il trapianto

Se in alcuni casi è davvero un intervento salvavita, come è per il cuore o il fegato in caso di epatite fulminante, il trapianto determina anche una migliore sopravvivenza dei pazienti. La sopravvivenza a un anno dal trapianto è dell’86% nel caso del fegato e del 97,2% nel caso di rene. «Nel caso del rene, poi, il trapianto permette una sopravvivenza di molto maggiore rispetto a quella attesa per i pazienti in dialisi: il rischio di decesso per un paziente dopo trapianto è del 70% inferiore rispetto a quello di un coetaneo in dialisi» spiega il dottor De Gasperi. I fegati richiesti sono 1500 e la mortalità in lista è del 6%. Il trapianto di fegato è un intervento impegnativo, il paziente epatopatico è complesso e il suo organismo mediamente più compromesso. Per questo, la vita dopo il trapianto è mediamente meno facile di quella degli altri trapiantati, come dimostrano anche i dati sul reinserimento sociale e la ripresa delle attività lavorative.

I risultati qualitativi dei trapianti pubblicati regolarmente dal Ministero

A livello internazionale, l’Italia è tra i pochi paesi a garantire la massima trasparenza pubblicando sul sito del Ministero i risultati qualitativi dei trapianti. «Le diversità nei tassi di sopravvivenza organo/paziente a un anno dal trapianto di uno stesso organo registrati tra aree del nostro paese dipendono dalla tipologia di paziente» spiega De Gasperi. Trapiantare individui giovani con una lunga sopravvivenza davanti, prima che la situazione peggiori, oppure soggetti più compromessi in condizioni urgenti sono comunque delle decisioni che vanno prese.

Il valore del trapianto: conviene anche dal punto di vista economico

Se il vantaggio clinico del trapianto è fuori discussione, lo stesso dicasi per valutazioni di tipo economico. A misurarne la convenienza rispetto al non trapianto con ragionevole precisione è stato uno studio condotto dal Censis e dalla SIN Società di Nefrologia con il CNT: a fronte di 95mila euro (il costo di un trapiantato per 3 anni), lo studio stima in 123mila euro l’anno il costo medio di un dializzato per lo stesso periodo. Il trapianto conviene anche alle casse del sistema sanitario e per questo i pazienti dializzati andrebbero inseriti nelle liste d’attesa.

I donatori sono quasi due milioni

Per quanto il registro delle opposizioni in Italia sia più snello che nel resto d’Europa e siano invece in crescita le dichiarazioni di «non opposizione», giunte già ad 1 milione e 800 mila, è necessario agire in modo coordinato a livello nazionale per ridurre ulteriormente questa resistenza, spesso dovuta a mancanza di informazioni. «Ridurre del 10% significherebbe avere 70-80 donatori in più, quindi circa 200 trapianti in più all’anno» spiega il dottor Nanni Costa. «Che ciò sia possibile lo dimostra l’esperienza dell’Emilia Romagna, dove le opposizioni sono diminuite in un anno del 25%». La campagna «Diamo il meglio di noi» è al lavoro esattamente con questo obiettivo.

Come diventare donatore

Ecco come dichiarare la propria «non opposizione» al prelievo e donazione di organi e tessuti dopo la morte:

1. dichiarando la propria «non opposizione» in fase di richiesta o rinnovo della carta d’identità

2. registrando la propria volontà in un apposito modulo presso la propria Asl o il medico di famiglia

3. compilando il «Tesserino Blu» del Ministero della Salute

4. scrivendo la propria volontà su un foglio di carta da conservare tra i documenti personali con nome, cognome, data di nascita, dichiarazione di volontà (positiva o negativa), data e firma

5. compilando l’atto olografo dell’Associazione Italiana Donatori di Organi (AIDO)

6. compilando la DonorCard, distribuita dalle associazioni.

Se un cittadino non esprime la propria volontà in vita, spetta ai familiari prendere la decisione. I vari moduli sono scaricabili dal sito ufficiale del CNT .


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