In tutta Europa, il numero delle nuove diagnosi di celiachia nei bambini non è mai stato così basso. Ma il dato non deve essere mal interpretato. La statistica è infatti sottostimata, perché evidentemente tra i pediatri e i gastroenterologi sono ancora in pochi a portare a termine un percorso corretto di diagnosi della «più comune malattia cronica legata all’alimentazione tra i bambini in Europa», è l’allarme che giunge da Ginevra in occasione della giornata mondiale dedicata alla malattia, che secondo gli esperti della Società europea di gastroenterologia pediatrica, epatologia e nutrizione (Espghan) non viene riconosciuta fino a otto casi su dieci. Una piramide sommersa che fa sì che «emerga soltanto la punta di un iceberg», per dirla con Riccardo Troncone, direttore della clinica pediatrica dell’Università Federico II di Napoli.

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Il ritardo diagnostico

L’appuntamento istituzionale rappresenta l’occasione per parlare della celiachia in età pediatrica. Il problema del ritardo diagnostico, nei primi anni di vita, è ancora più rilevante: soprattutto se si ha di fronte un bambino che non ha parenti già affetti dal disturbo (o che comunque non sanno di esserlo).

Sul totale dei duecentomila celiaci italiani, poco più di un decimo (21277) hanno meno di dieci anni. Ma se le stime complessive indicano almeno il triplo dei celiaci lungo la Penisola, si deduce che in proporzione i bambini ammalati siano almeno sessantamila. Tutti gli altri continuano a vivere con i sintomi - anche se non sempre - della malattia per almeno sei anni: questo è l’intervallo medio che ogni celiaco vive sulla propria pelle, tra il primo consulto medico e l’ottenimento di una diagnosi corretta. Il problema è particolarmente sentito tra i più piccoli, perché «una mancata o tardiva diagnosi compromette il processo di crescita e di sviluppo - sostiene Caterina Pilo, direttore generale dell’Associazione Italiana Celiachia -. Questo perché una celiachia non diagnosticata può determinare perdita di peso, stanchezza cronica, ritardo nella maturazione sessuale e fragilità ossea nei pazienti più piccoli».

Nei bambini diagnosi senza gastroscopia

Eppure, stando alle ultime indicazioni dei gastroenterologi europei, per i pazienti più piccoli non è più previsto l’esame endoscopico. Anche in Italia, se si riscontrano la predisposizione genetica alla malattia e se gli anticorpi (anti-tranglutaminasi e anti-endomisio) sono di molto (almeno dieci volte) superiori ai valori soglia, nei bambini si può già procedere a formulare una diagnosi di celiachia.

In questo modo - il discorso non vale invece per gli adulti - è possibile rendere la diagnosi meno invasiva, senza per questo intaccare sicurezza e affidabilità. Anzi: l’adeguamento alle procedure raccomandate dai massimi esperti europei ha un duplice obiettivo di diagnosticare la malattia quanto prima.

Differenti, a seconda dell’età, sono anche i percorsi per il monitoraggio della malattia. Spiega Marco Silano, direttore del reparto alimentazione, nutrizione e salute dell’Istituto Superiore di Sanità e coordinatore del board scientifico dell’Associazione Italiana Celiachia: «Il primo controllo deve avvenire a un anno dalla diagnosi. Successivamente ogni due anni, salvo complicanze. Occorre porre più attenzione in età adolescenziale: in questo periodo l’aderenza alla dieta senza glutine è spesso ridotta».

Twitter @fabioditodaro


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