Il circuito di reward, come qui descritto, è il meccanismo profondo che produce i comportamenti di dipendenza, in qualunque forma questa si manifesti. Il circuito di ricompensa, volendo semplificare, funziona attraverso la messa in circolo di un neuromediatore chiamato dopamina, che viene rilasciato ogni qual volta proviamo gratificazione (per esempio, un buon pasto produce un rilascio di dopamina, ma anche lo zucchero, una notifica su facebook, così come lo stupefacente, in quantità e tempi diversi).

Se il problema dell’addiction è un problema che ruota intorno alla dopamina, chi riuscisse -ipoteticamente- a indurre un suo rilascio nel cervello di un cliente a seguito di un determinato comportamento, ne farebbe un cliente «che ritorna».

A proposito di questo, parliamo di «mercato della dopamina» quando ci vogliamo riferire appunto a un mercato peculiare in cui il consumo di un determinato prodotto venga volontariamente indotto nel cliente e mantenuto attraverso questi meccanismi, che hanno a che fare con la questione dell’«addiction».

Pensiamo per esempio al mercato degli snack dolci, dello zucchero contenuto nei cibi venduti dai fast food, dal mercato del tabacco: ovunque insomma il prodotto sia così gratificante da creare dipendenza. La domanda centrale che si pone chi lavora nel mercato della dopamina, sarà dunque: come farò a creare un prodotto che procuri forte gratificazione (e quindi un rilascio di dopamina, e di conseguenza un ritorno probabile del cliente al consumo)?

Consideriamo che il circuito di reward coinvolge anche la memoria, che imprime il ricordo gratificante nella mente di chi l’ha vissuto, per far sì che l’esperienza gratificante venga ripetuta.

Senza l’intervento del sistema di ricompensa, probabilmente non mangeremmo, né cercheremmo attivamente partner sessuali, ma neanche scivoleremmo in una dipendenza da cocaina o da smartphone.

Esistono due tipologie di gratificatori

1) I GRATIFICATORI NATURALI (le esperienze connesse al cibo, alla sessualità, alle relazioni sociali)

2) I GRATIFICATORI ARTIFICIALI (che procurano un rilascio di dopamina a partire da qualcosa di innaturale o costruito ad hoc, come il saccarosio contenuto nel junk food, o il meccanismo con cui è creato un social network -attraverso ricompense e stimoli a forte salienza come luci e colori, stesso meccanismo con cui funziona una slot machine-, o ancora le sostanze stupefacenti).

Quando una dipendenza si installa, e quando diviene altamente patologica, i gratificatori artificiali prendono tutto il posto dei gratificatori naturali: passa tutto in secondo piano (come la sessualità e appetito), per lasciar posto al singolo gratificatore artificiale.

Uscire da una dipendenza del genere, vuol dire rimettere i gratificatori naturali al loro posto originario, scalzando quelli artificiali: uscire da una dipendenza, significherà dunque estirpare i comportamenti patogeni ricollegando la persona tossicodipendente ai suoi piaceri primari, che esistevano prima della tossicodipendenza.

Visti questi aspetti, è importante capire che chiunque sia in grado di «controllare» il mercato della dopamina, produrrà consumatori fedeli e dipendenti, il che produce un enorme introito di denaro collegato al consumo.

Abbiamo chiesto al Dott. Valerio Rosso, psichiatra psicoterapeuta di Genova ed esperto di psichiatria d’avanguardia, alcune questioni a proposito del fenomeno.

1) Quanto è alto il valore prodotto dai beni “ad alto rilascio” di dopamina?

«Se si considera il totale del business della dopamina, legale ed illegale, si parla di diverse centinaia di miliardi di dollari. Pensate solo ad alcol, nicotina e droghe illegali in Europa: si parla di un totale di almeno 300 miliardi di euro per l’alcol, 150 miliardi di euro per il tabacco e circa 20 miliardi di euro per le principali droghe illegali. Aggiungete il business dei junk food e vedrete ancora molti miliardi di euro in gioco.

Non parliamo poi dei comportamenti disfunzionali che coinvolgono i social network. Inoltre il business della dopamina, nelle sue vecchie e nuove declinazioni, è stabile nel tempo e non risente delle fluttuazioni della crisi, anzi, instabilità e incertezza in qualche maniera lo alimentano perché favoriscono i bisogni anomali delle persone».

2) Quali sono le fasce della popolazione più colpite?

«Si tratta di un business piuttosto trasversale anche se a subirne le conseguenze dirette e le influenze di marketing sono le fasce più deboli e meno abbienti. Il business della dopamina ha un marketing preciso, vuole stimolare la risposta del reward in più persone possibili tramite stimoli accessibili in primis alla grande massa della popolazione, non alle elite. Zucchero, social media, tabacco, alcol sono esempi lampanti di gratificazione dopaminergica a poco prezzo».

3) Qual è la strategia con cui ci si può difendere?

«Come sempre, l’unico meccanismo di difesa contro le dipendenze ed il bisogno anomalo è la consapevolezza che deriva dalla conoscenza. Se uno conosce cosa accade intorno a lui, può riuscire a trovare delle proprie buone ragioni per cambiare un comportamento disfunzionale».

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