«Chiamiamoli correttamente. Si chiamano farmaci ipnotici e non sonniferi» spiega Luigi Ferini Strambi, neurologo del San Raffaele di Milano e presidente dell’Associazione Italiana Medicina per il Sonno.

Gli ipnotici possono aiutare quando lo stress, i troppi viaggi, una preoccupazione professionale, un lutto, ci tengono svegli, con gli occhi sbarrati e ci impediscono di raggiungere per troppi giorni di fila le otto ore di sonno di cui in media avremmo bisogno.

Esistono due ampi gruppi di farmaci ipnotici: le vecchie, ma ancora utilizzate benzodiazepine e le non-benzodiazepine. Ce ne sono di tutti i tipi, i farmaci ipnotici possono aiutare la fase di addormentamento o a dormire più a lungo. I benefici e i rischi possono essere diversi, primo tra tutti la dipendenza. E il neurologo è perentorio: il farmaco ipnotico aiuta la fase acuta e si deve prendere per un limitato periodo di tempo. L’investimento va fatto su una corretta igiene del sonno, analizzando a monte i problemi del popolo notturno (circa 10 milioni di italiani), che è eterogeneo.

«Anche perché gli insonni veri sono intorno al 9%, poi ci sono il 6-7% di brevi dormitori, che stanno bene con sole quattro cinque ore di sonno; mentre il 12% riguarda i soggetti non propriamente insonni ma deprivati di sonno per scelta, per lavoro, per stile di vita. Scongiurati problemi patologici seri, a volte l’insonnia cela una condizione medica o un disturbo del sonno - spiega Ferini Strambi. - Quando la risposta agli ipnotici è blanda, la polisonnografia, una sorta di radiografia del sonno che misura il battito cardiaco, la saturazione di ossigeno nel sangue, l’attività cerebrale, i movimenti degli occhi e del corpo, può rivelare le vere cause».

Ad esempio l’apnea ostruttiva, che provoca sonnolenza diurna. Il quaranta per cento dei casi si collega all’insonnia e si cura con il CPAP, un dispositivo che aiuta la ventilazione delle vie respiratorie. Oppure si può scoprire che l’insonnia è una conseguenza della sindrome delle gambe senza riposo, che si cura con i dopaminergici.

«Tuttavia, ci sono momenti in cui l’ipnotico può aiutare a conquistarsi la parte ristoratrice del sonno, che è un nostro bisogno primario. Non ce lo dimentichiamo, e per questo nessuna insonnia va sottovalutata» continua Ferini Strambi.

A volte i farmaci, di solito prescritti per curare la depressione possono alleviare l’insonnia, se assunti a dosi più basse. Quando l’insonnia è secondaria alla depressione o all’ansia, gli antidepressivi possono migliorare entrambe le condizioni allo stesso tempo. A basso dosaggio tendono ad aumentare il sonno profondo.

Nel 2014, la Food and Drug Administration ha approvato il primo antagonista del recettore di oressina, un neuropeptide prodotto dall’ipotalamo, la cui cronica carenza provoca la narcolessia, una malattia caratterizzata da un’eccessiva sonnolenza. Bloccare questa molecola del cervello che ci tiene svegli potrebbe rivelarsi un punto di svolta.

«Questi farmaci, che vanno sotto il nome di DORA sono così nuovi che i loro benefici e rischi a lungo termine non sono ben compresi, quali la dipendenza psicologia ad esempio, ma sembrano promettenti». I farmaci classici per il sonno, quali le benzodiazepine, fungono da sedativi, mirando ai recettori cosiddetti GABA per facilitare l’inattività cerebrale. I DORA diminuiscono la notte insonne bloccando i recettori per l’oressina del cervello. Ci sono molte ragioni per credere che alcune persone con insonnia siano ipersecretori di oressina, motivo per cui non riescono a dormire e non rispondono alle benzodiazepine classiche.

Se i nuovi ipnotici si stanno affacciando sul mercato, il farmaco ideale per il sonno non esiste ancora e per l’insonnia a lungo termine, la terapia primaria resta in assoluto quella comportamentale, solitamente senza farmaci. «I cambiamenti di comportamento appresi attraverso la terapia cognitivo-comportamentale sono generalmente il miglior trattamento per l’insonnia persistente» continua Ferini Strambi. Dormire a intervalli regolari, esercitarsi regolarmente, evitare caffeina e sonnellini diurni, e tenere sotto controllo lo stress, può anche aiutare.

«Qualunque farmaco funzioni sul sonno va assunto con parsimonia e sotto il controllo medico» conclude Ferini Strambi «per evitare che da poche gocce si passi a quattro cinque boccette per continuare ad ottenere lo stesso risultato; o per gestire l’effetto rebound che a volte si verifica se si interrompe improvvisamente la terapia, con conseguenti attacchi d’ansia.

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