Già dal 1992 l’OMS, Organizzazione Mondiale della Sanità ha riconosciuto la fibromialgia come una patologia e l’ha classificata nell’International Statistical Classification of Diseases and Related Health Problems.

NON È NELL’ELENCO DELLE MALATTIE CHE RIENTRANO NEI «LEA»

Nel nostro Paese purtroppo la ricerca di base, la sperimentazione clinica e le prospettive di cura per questa patologia sono molto indietro, tanto che fino a oggi, non è neppure compresa nell’elenco delle malattie croniche che rientrano nei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza).

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I PASSI AVANTI DELLA REGIONE EMILIA ROMAGNA

All’inizio dell’anno, tuttavia, un ente pubblico, la Regione Emilia Romagna ha emanato le linee di indirizzo per la Diagnosi e il trattamento della fibromialgia. Il documento si propone di definire nella maniera più appropriata possibile sia la patologia sia i percorsi di intervento una volta fatta diagnosi.

«Il termine fibromialgia non di rado è abusato e utilizzato per individuare condizioni dolorose molto meno importanti sfociando facilmente nella superficialità e inesattezza diagnostica. Un numero molto elevato di pazienti sono infatti affetti da sindromi dolorose miofasciali non inquadrabili come vere fibromialgie sia per la presenza di una intensità del dolore minore sia per l’assenza del corollario clinico psico-attitudinale tipico della vera patologia.

Ai fini di un riconoscimento, auspicabile, della fibromialgia nei LEA una tale distinzione è opportuna e non va mancata da parte del medico specialista» chiarisce Angelo De Cata Responsabile UOAS IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo (FG) e presidente nazionale del Collegio dei Reumatologi (CReI).

MA COME SI DIAGNOSTICA LA FIBROMIALGIA?

Secondo alcune stime epidemiologiche possono volerci anche due anni prima di arrivare alla diagnosi di malattia: la difficoltà del percorso è legata a numerose variabili in particolare alla mancanza di strade diagnostiche omogenee in tutte le regioni italiane.

«Per fare diagnosi devono essere soddisfatti contemporaneamente tre criteri ovvero la presenza di dolore diffuso e simmetrico che si esalta in alcuni punti anatomici conosciuti come tender points che in teoria non dovrebbero essere meno numerosi di 11 anche se più spesso superano i 18, localizzati in specifiche aree e regioni del corpo. La persistenza della sindrome dolorosa da non meno di 3 mesi. La presenza di altri segni e sintomi in corollario quali astenia costante sin dal risveglio mattutino, sonno non ristoratore, problemi cognitivi, emicrania, ambascia respiratoria, sindrome del colon irritabile, sindrome ansioso-depressiva, che amplificano notevolmente la compromissione della qualità della vita quotidiana- puntualizza ancora De Cata che aggiunge- I criteri diagnostici della sindrome fibromialgica sono migliorati negli anni sia in termini di sensibilità che di specificità, ma non tanto da consentire una diagnosi di certezza che comunque, non può prescindere da un’attenta esclusione di altre condizioni cliniche similari».

QUALI SONO I PERCORSI TERAPEUTICI PIU’ INDICATI

Una volta fatta la diagnosi, si passa al percorso terapeutico che purtroppo non è risolutivo della condizione, ma mira a tenere sotto controllo la sintomatologia e a migliorare la qualità della vita di chi ne soffre.

«Per quanto riguarda gli interventi farmacologici per la gestione del dolore, soprattutto se lieve si consiglia l’utilizzo del paracetamolo da solo e se il dolore è di tipo invalidante si può associare con il tramadolo, un oppioide, mentre di nessuna utilità risultano i cortisonici o i FANS (Farmaci Antinfiammatori non Steroidei)- spiega il dottor De Cata che prosegue- Altre molecole ad azione antidolorifica centrale disponibili e alternative al tramadolo sono il tapentadolo, l’ossicodone associabile al paracetamolo o al naloxone, la codeina associata al paracetamolo. Di una certa utilità soprattutto per la gestione del dolore e dei disturbi dell’umore alcune classi di farmaci noti per essere anti-depressivi che possono essere somministrati nelle forme intensamente algiche anche in assenza di una forma clinicamente rilevante di stato depressivo, quali gli inibitori selettivi del re-uptake della serotonina (SSRI) e gli inibitori selettivi del re-uptake della serotonina e della noradrenalina (SNRI).

Si può tentare, sempre per la risoluzione del dolore, anche con l’antiepilettico pregabalin e con farmaci decontratturanti ad azione centrale quali ciclobenzaprina, tizanidina, baclofene, eperisone cloridrato, con i quali si può risparmiare sul dosaggio dei farmaci anti dolorifici e raggiungere effetti più completi e profondi sul dolore. Clinicamente importante è anche cercare di migliorare la qualità del sonno notturno che può richiedere supporto farmacologico di vario profilo chimico fino ad arrivare all’uso di ansiolitici e ipnoinducenti».

NON TRASCURARE MAI L’ATTIVITA’ FISICA

Anche l’attività fisica può essere molto utile per il paziente con fibromialgia perché può migliorarne l’umore e permette al sistema muscolare di esercitarsi creando sia rilassamento muscolare che maggiore tollerabilità al dolore. Il piano di lavoro fisico, tuttavia, andrebbe studiato su misura per ogni paziente.

UNA MALATTIA CHE NECESSITA DI APPROCCI PSICOFISICI

Perché il percorso terapeutico sia efficace nella gestione di questa complessa malattia, è fondamentale intervenire sia sulla sfera fisica sia su quella psichica. «Per arrivare a impostare il percorso concentrandosi su fisico e psiche è fondamentale che il reumatologo, lo specialista di riferimento per la gestione di questa malattia riesca a empatizzare profondamente con il malato, perché il reumatologo non può essere solo una mera figura che detta i tempi e i livelli della terapia, ma deve costituire una fonte di training autogeno e deve porsi in una posizione parallela a quella di una potenziale psicoterapia di supporto- sottolinea ancora il dottor De Cata che conclude - Le condizioni di agio o disagio familiare in atto o storiche rappresentano motivo frequente di riacutizzazioni cliniche del dolore in una patologia che diventa vera malattia familiare per la percezione e le difficoltà che essa crea sui componenti e sulla serenità di tutti i componenti della famiglia.

Il disagio psichico che accompagna costantemente le forme più severe di questa patologia e il lavoro fisico, quando intenso e cronico, sono le due principali variabili che creano riacutizzazioni cliniche del dolore minando a volte la sensazione del paziente di non poter avere soluzione con alcuna terapia o di non avere in quello specialista la persona adatta a gestire il proprio problema. È questo il motivo principale che invita molto spesso il paziente fibromialgico a cambiare interlocutore medico entrando spesso in un loop che non permette una reale crescita dell’aspetto terapeutico».


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