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La molecola si chiama MSI-1436, o anche trodusquemina, e si trova nell’intestino degli squali ma viene sintetizzata in laboratorio, dove viene studiata per i suoi vari effetti. Secondo uno studio cui hanno partecipato anche degli italiani, questa molecola potrebbe essere forse di aiuto nell’indicare la strada verso la ricerca di una cura per l’Alzheimer.

I ricercatori guidati dal professor Christopher Dobson del Dipartimento di Chimica dell’Università di Cambridge, hanno studiato gli effetti della trodusquemina sulla proteina amiloide i cui aggregati sono neurotossici. I risultati, apparsi su Nature Communications, mostrano che la molecola blocca l’effetto neurotossico degli aggregati di Beta-amiloide (A Beta-42), coinvolti nella patogenesi dell’Alzheimer.

«Questa molecola – specifica Fabrizio Chiti Dipartimento di Scienze Biomediche Sperimentali e Cliniche dell’Università di Firenze, uno degli autori dello studio – ha proprietà peculiari perché, pur non impedendo l’aggregazione del peptide β-amiloide, riduce il tempo di vita degli aggregati intermedi ritenuti tossici, effetto benefico che va ad aggiungersi alla sua capacità diretta di neutralizzare tali aggregati intermedi quando questi si formano».

L’Alzheimer è una malattia neurodegenerativa per la quale non esistono cure efficaci. Si stima che in Italia colpisca 1.241.000 persone che diventeranno 1.609.000 nel 2030 e 2.272.000 nel 2050. All’origine dell’Alzheimer ci sono l’accumulo in placche della beta-amiloide e gli ammassi neurofibrillari di proteina tau, che determinano la neurodegenerazione. Contro la proteina neurotossica beta amiloide sono attualmente due le strade percorse dalla ricerca: da una parte, inibirne la produzione; dall’altra, impedirne il suo depositarsi.

Il gruppo di ricerca toscano ha ottenuto risultati promettenti contro un’altra malattia neurodegenrativa, il Parkinson, con un’altra molecola molto simile alla trodusquemina, la squalamina. Questo composto è oggetto di sperimentazioni cliniche contro il cancro e altre malattie; anch’esso presente nell’intestino degli squali, ma ormai da trent’anni prodotto in laboratorio, sembra essere in grado di impedire la comparsa della malattia di Parkinson, bloccando la formazione di aggregati della proteina alfa-sinucleina.

Lo studio si è avvalso anche del contributo dell’Associazione Italiana Ricerca Alzheimer Airalzh Onlus, il cui comitato tecnico-scientifico è diretto dal professor Chini.